Cucina mediterranea, la regina delle diete
Quante volte avete sentito parlare della cucina mediterranea? In particolare in estate i Tg nazionali ne parlano praticamente tutti i giorni. L’Italia insieme alla Spagna, la Grecia, la Croazia, e i paesi del Magreb sono i padri fondatori della famosa dieta, tutti insieme chiedono all’Unesco il riconoscimento di patrimonio mondiale dell’Umanità. Tutti i dietologi e nutrizionisti la consigliano per mantenersi in forma e quasi tutti affermano che aiuta ad essere più longevi. Considerata la copertura mediatica, e considerando che viviamo in un Paese del mediterraneo si potrebbe dare per scontato che tutti sappiano da cosa sia composta, ebbene non è così. L’alimentazione è una scienza, personalmente l’avevo come materia alle scuole superiori, purtroppo è una scienza che tutti, anche i nutrizionisti stessi, tendono a interpretare un pò troppo in favore di certe potenti industrie alimentari, andiamo a scoprire il perché.
Da cosa è composta la cucina mediterranea, e quando è nata?
Più di otto millenni, questa è la data di nascita della dieta più blasonata, un regime alimentare che nasce nelle popolazioni affacciate sul mediterraneo e che hanno condiviso per più di ottomila anni. Nasce quando l’uomo impastando farro o miglio con l’olio di oliva ha capito che poteva diventare agricoltore e nutrirsi senza cacciare, bandendo così dalla propria dieta grassi animali e carni. Un abbondante uso di olio di oliva, pesce, moltissime verdure, frutta, cereali, agrumi, moderati formaggi, soprattutto di capra. Questa è la dieta mediterranea, eppure in ogni servizio televisivo o giornalistico troviamo costantemente “l’esperto” che in malafede ci consiglia di accostare alla dieta carni animali, snaturando la dieta stessa e contraddicendosi da solo, perché come abbiamo detto la nutrizione è una scienza e qualsiasi nutrizionista sa bene che la mediterranea non solo è una dieta completa e sana, ma non prevede carni di nessun genere. Negli anni ‘50 Keys, uno degli scienziati più importanti del secolo scorso, si trasferì a Napoli scoprì che il popolo non soffriva di cuore, non aveva la gotta e altre malattie allora riservate all’aristocrazia. La ragione era che il popolo mangiava olio, pasta, verdure e pesce e non mangiava carne. Da allora molti passi avanti sono stati fatti in materia di studi scientifici, ma le informazioni vengono continuamente inquinate da scienziati pagati
dalle multinazionali della carne, ricche e potenti. Proprio come per la Canapa e per il vino anche qui troviamo “esperti” pagati che ci dicono il contrario di quello che è la realtà, più siamo informati e meno influenza negativa avranno su di noi e le nostre vite.
Ora vi presento tre gustosi prodotti mediterranei, una semplice e gustosa ricetta, un buon vino che ben si accosta con la pietanza e uno strain dai “sentori mediterranei”.
La ricetta. Per ragioni di spazio non posso dare la ricetta completa. Mezze maniche con funghi porcini, pachino e cocorietta di campo e una zuppa di lenticchie, sono ricchissime di moltissime proprietà, non hanno assolutamente bisogno del cotechino se cucinate a dovere, inoltre sceglietele bene, un consiglio superficiale: preferite quelle più piccole e scure a quelle grandi e chiare.
Il vino. Due Vini, dell’azienda vitivinicola “Antichi Poderi di Jerzu” della provincia di Nuoro. Cannonau di Sardegna Chuerra Riserva 2004, ha un costo intorno ai 12 euro. Il Cannonau è molto diffuso ma è difficile trovare un compromesso qualità-prezzo, è uno dei vitigni più antichi del mediterraneo, proviene dalla Spagna ma recenti ritrovamenti archeologici in Sardegna potrebbero mettere in discussione questa ipotesi. Le uve che compongono il Chuèrra, provengono dai vigneti di Jerzu, il vino matura in botti di rovere francese da 500 litri per un anno e mezzo ed affinato successivamente in bottiglia.
Lo strain. Lo strain mediterraneo per eccellenza è la “rossa calabrese”, dalle informazioni attuali deriva da un Afgana importata moltissimi anni fa e “naturalizzata” in Calabria, acquistando originalità, distinguendosi notevolmente dalla sua presunta antenata. Purtroppo negli ultimi anni causa il proibizionismo e l’invasione di semi da collezione di fama olandese, della rossa calabrese si sono perse le tracce, speriamo che saggiamente qualche collezionista abbia preservato la specie e prima o poi condivida il prezioso risultato con tutti noi. Se qualche lettore volesse spedirci dei semi di “rossa calabrese” che ci contatti all’indirizzo mail ([email protected]), attenzione parliamo solo di semi, non di erba, solo semi calabresi da collezionare con lo scopo di preservare la specie.
Per chi ha avuto la fortuna di gustarla negli anni passati quando era diffusa, conosce quel profumo caratteristico con dei sentori di pomodoro, quel colore rosso e quel sapore inconfondibile, con un effetto molto simile all’high delle sative, il tutto era possibile grazie alla magica combinazione tra il terreno, l’aria, il sole e lo strain perfettamente adattato all’ambiente, come ogni strain autoctono una combinazione difficilmente ripetibile, proprio come succede per il vino.
Scegliendo tra gli attuali strain in commercio troviamo la “Babilonia” di Semitalia, è un incrocio creato in Olanda da un italiano che è riuscito a mischiare dei sentori che ricordano i profumi mediterranei, con un high classico da sativa, ma non eccessivamente.