La crisi dell’acqua è più vicina di quanto sembri
Entro il 2030, la scarsità d’acqua, unita all’impatto di guerre, siccità, carestie e sconvolgimenti climatici, potrebbe generare oltre 700 milioni di sfollati e rifugiati
Il nostro Pianeta sta vivendo una crisi dell’acqua senza precedenti, basti pensare che 1 essere umano su 4 non ha accesso a fonti d’acqua sicure.
Dall’Africa Subsahariana fino all’Asia centrale, guerre ed eventi climatici anomali dovuti all’emergenza ambientale stanno contribuendo all’aggravarsi della crisi che le generazioni future dovranno affrontare.
La crisi dell’acqua non riguarda solo le regioni desertiche, ma anche l’Europa, un’area che erroneamente si tende a considerare immune da pericoli di questa natura.
Si calcola che entro il 2030, la scarsità d’acqua, unita all’impatto di guerre, siccità, carestie e sconvolgimenti climatici, potrebbe generare oltre 700 milioni di sfollati e rifugiati.
IL FORUM MONDIALE DELL’ACQUA
Proprio in questi giorni, è iniziato a Dakar, in Senegal, il Forum mondiale dell’acqua – principale evento globale dedicato al tema dell’acqua, che si tiene con cadenza triennale – e, ancora una volta, esponenti di tutto il mondo sono chiamati a discutere non solo di sicurezza dell’acqua nelle aree più a rischio ma anche della correlazione di questa con possibili – o meglio, probabili – future guerre egemoniche per la risorsa più importante del pianeta terra.
È la prima volta che il forum si tiene nell’Africa Subsahariana, una delle aree più interessate da fenomeni di siccità estrema.
Gli obiettivi fissati per quest’edizione dal governo di Dakar e, in particolare, dal presidente del Senegal Macky Sall, sono chiari: creare un sistema politico internazionale che metta l’accesso sicuro alle fonti d’acqua al centro del discorso.
Già nel 2020, i Paesi africani occupavano i primi sette posti della lista degli Stati a più alto rischio di siccità, con la Somalia al primo posto. I sistemi di gestione delle acque della regione, e, in realtà, anche del resto del mondo sono sottoposti a pressioni sempre crescenti dovute a modalità di gestione delle risorse idriche spesso insostenibile e ad una crisi climatica in rapido avanzamento, fattori che nemmeno il continente europeo può eludere. Nazioni come Spagna e Italia sono, infatti, le più a rischio tra i Paesi europei, con la rete idrica italiana che perde circa il 42% dell’acqua immessa nel sistema ogni giorno – il 60% della rete di distribuzione dell’acqua ha più di 30 anni e il 25% più di 50 anni. Insomma, nel Bel Paese si sprecano 3,5 miliardi di metri cubi d’acqua al giorno e solo quest’anno la siccità al Nord è arrivata a livelli storici.

LA CRISI DELL’ACQUA PRODROMICA DELLA GUERRA
L’attuale crisi dell’acqua pone poi un’ulteriore questione collaterale: meno risorse significa sempre più guerre. E, di fatto, dei 25 Paesi considerati più vulnerabili ai cambiamenti climatici, sono 14 quelli già interessati da conflitti di varia natura, come lo Yemen – dove dal 2015 va avanti una guerra civile tra le forze armate antigoverno Huthi e le truppe leali al governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi, –, i territori occupati della Palestina o, ancora, la Siria, dove la guerra si è tradotta in una riduzione dell’approvvigionamento idrico quasi del 40%.
Ma, a conti fatti, si tratta di una crisi risolvibile? E se sì, quale sarebbe il prezzo da pagare?
Secondo le stime del World Resource Institute, un’organizzazione non profit che si occupa di misurare le risorse naturali globali, sarebbe necessario un investimento pari all’1% del PIL mondiale per garantire un accesso sicuro alle risorse idriche a tutta la popolazione mondiale, ma la risposta è, in realtà, più complessa. L’investimento non sarebbe, infatti, diviso in porzioni eque e gli Stati più a rischio sarebbero costretti a versare una somma che potrebbe avvicinarsi all’8% dei rispettivi PIL, uno sforzo che richiederebbe verosimilmente indebitamento e l’intervento di organizzazioni internazionali.