Creep – Creep è morto (recensione)
Da quasi due mesi è uscito il secondo disco per Creep, rapper 24enne proveniente da Prato. “Nuova strada” lo vide cimentarsi per la prima volta in una fatica omogenea, esordendo su beats di Don Joe, Shocca e Ceasar, tra gli altri. “Creep è morto”, questo il titolo del nuovo album, sembra essere l’ovvio update alle premesse del precedente: liriche da parental advisory, botte di vocoder su synth e beat pomposi per un genuino gangsta rap all’italiana. Questa volta alle spalle ci sono un’etichetta indipendente, TRB, che gli ha anche garantito la completa produzione musicale di J Silver, e un ottimo ufficio stampa. Il ragazzo, insomma, sa il fatto suo.
Approcciarsi a questo tipo di lavoro è sempre difficile. Non perché sia presupposta una certa complessità di fondo, sia chiaro. Il concept è lineare, piuttosto semplice. Autoreferenzialità e cliché, beat suonati sull’elettronica andante, liste della spesa, viaggioni alla Gta e rapporti interpersonali che non vanno al di là del materialismo più spicciolo. Insomma: non si può approcciarlo se non per un’oretta di easy listening, una fruizione mordi e fuggi. Al terzo, quarto ascolto continuato, più nessuna sfumatura, alcuna emozione nuova, solo l’apprezzamento di cronistorie fini a se stesse. E, tra l’altro, il già sentito è qua dietro l’angolo.
Bassi Maestro ce l’ha detto qualche giorno fa: il rap è nato nei block party e l’aspetto festaiolo è tra i fondanti, altro che storcere il naso a prescindere. L’hip hop che veicola forzatamente messaggi con poca cognizione della causa, spesso è meno apprezzabile di quello volutamente e fieramente disimpegnato. In “Creep è morto”, però, davvero ci sforziamo di carpire cosa possa rimanere dopo la completa assimilazione dei quattordici brani del disco: magari lo sfogo di un giovane che gongola nel rendere pubblici il suo conto in banca e la sua vita costantemente ai limiti (a meno che non ci prenda tutti in giro), magari poco altro.
Creep è un buon rapper, ad ogni modo. Ha personalità, voce e discrete delivery che ben si adagiano a J Silver, che gli musica l’ideale tappeto sonoro, di buona fattura. Stilisticamente è un lavoro che gira, eccome. Ci chiediamo solo se, alla luce di tutto, ne valga realmente la pena. Del resto, come lo stesso consiglia nel booklet, “la vita è troppo breve per pensare… agisci e non riflettere”. Forse avrei dovuto approcciarmi così…
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Nicola Pirozzi