Cosa succede ai CSC? Ce lo racconta la mente italiana dietro al G13
Dalla Svizzera degli anni '90 alla Catalogna, passando per gli Usa: è la storia di Mattia, il fondatore del rinomato G13, che ci spiega bene la situazione complessa per le associazioni in questo periodo
C’è una fuga di cervelli di cui i giornali mainstream non parlano mai: si tratta dei grower italiani che, nonostante siano tra i più esperti al mondo, per poter lavorare in modo legale devono espatriare per farlo in paesi in cui è legale.
Sono anni che nei coffee shop olandesi, dopo un approccio maccheronico in inglese, capita spesso di sentirsi rispondere in italiano con un sorriso. La stessa identica cosa avviene in Spagna, dove molti italiani si sono trasferiti per mettere a frutto le proprie conoscenze nel mondo della cannabis, e ultimamente accade anche negli Stati Uniti.
Il caso di Mattia, il fondatore del rinomato G13 di Barcellona, è leggermente diverso perché, essendo italo-svizzero, ha avuto la fortuna di vivere in prima persona l’esperienza della “Jamaica delle Alpi” alla fine degli anni ‘90, che tutti i fumatori europei dei Paesi confinanti con la Svizzera ricordano con nostalgia.
Per una serie di quadrature astrali, e una legge vecchia degli anni ’60 che non era mai stata modificata, tra il ’98 e il 2003 in Svizzera si poteva acquistare cannabis legalmente. In Ticino, ad esempio, si potevano acquistare buste colme di cime di cannabis di ottima qualità che venivano vendute come profumatori per ambienti! O olio di cannabis venduto ad uso cosmetico. Un sogno che in quegli anni ha portato migliaia e migliaia di consumatori nel Paese elvetico, che fumavano sul posto, spesso nascondendo cannabis nei luoghi più improbabili per tornare a fumarla in altre occasioni, e cercavano di portare a casa un po’ di quella meraviglia in macchina, moto, bus, barche, o a piedi, passando per boschi e vecchie dogane abbandonate. Il sogno durò solo fino al 2004, quando il vuoto legislativo grazie al quale era consentita la coltivazione della canapa e la vendita di prodotti derivati purché non finalizzati all’assunzione diretta, venne colmato, portando alla chiusura di tutte le attività nate fino a quel momento.
Siamo in anni e situazione completamente diverse ma anche in Catalogna, la regione autonoma spagnola che – sempre per un vuoto legislativo – ha visto nascere e fiorire i Cannabis Social Club, in questo periodo si respira un brutto clima, col comune di Barcellona che ha fatto cessare diverse licenze inaugurando una nuova ondata di repressione.
LA SITUAZIONE DEI CANNABIS SOCIAL CLUB
Sei preoccupato per la nuova ondata di chiusure?
La situazione è complessa però non credo che nonostante i proclami, il sindaco possa riuscire davvero chiudere tutto come vorrebbe. E inoltre non ha alcun senso. Il vero motivo va ricercato nel fatto che, per avere la maggioranza in comune, si è dovuto alleare con l’estrema destra, che è la parte politica che vorrebbe la chiusura totale. Trovo assurdo rilanciare proprio oggi questa caccia alle streghe e personalmente ritengo estremamente ipocrita la direzione intrapresa dalla nuova amministrazione comunale.
Cosa sta accadendo in questo momento?
Il comune con l’aiuto di Guardia Urbana e Mossos d’Esquadra (la polizia catalana) sta effettuando dei controlli a tappeto su più di 200 club che ci sono a Barcellona. Bisogna tener presente che in un locale privato finché non viene provato che ci sia un reato, non si può ottenere un mandato di perquisizione e di fatto accedere all’interno da parte delle forze dell’ordine. Quindi l’orientamento delle forze dell’ordine è quello di entrare nei CSC per fare dei controlli, ed eventualmente aprire dei procedimenti. Ma non è così semplice per loro chiudere l’attività. La legge spagnola parla chiaro e dice che condividere, senza vendere, non rappresenta un reato. Il comune adesso si sta attaccando ad una sentenza del Tribunale Supremo che di fatto annulla le licenze che furono rilasciate a suo tempo e ora, non essendo più in vigore, sostiene che non sia più possibile nemmeno fumare all’interno di questi locali.
Nel frattempo ci sono state manifestazioni di protesta…
Ce n’è stata una a fine gennaio e un’altra febbraio: andremo avanti ogni mese. A Barcellona siamo una grossa comunità e tantissima gente vive di questo. Io spero che alla fine possa predominare il buonsenso che non è certamente quello di mandare di nuovo in strada i consumatori.
Tu sei preoccupato?
Ovviamente non sono per niente contento di questa situazione, ma dall’altro lato se noi siamo aperti da 10 anni è proprio per aver fatto tutto alla luce del sole. Hanno provato a chiuderci nel 2016, dopo che furono trovati due ragazzi fuori dal G13 con pochi grammi di erba, cosa che non potrebbe accadere perché non dovrebbe uscire dall’associazione; abbiamo preso una piccola multa per questo ma siamo stati assolti dal reato di associazione illecita. E come abbiamo già fatto in quella occasione non molleremo nemmeno questa volta! Quello dei cannabis club e della loro regolamentazione è sempre stato uno scenario molto complesso; non c’è mai stata una linea guida assoluta da seguire. Ciononostante abbiamo sempre cercato di fare il massimo per proteggere la nostra posizione seguendo più il buonsenso che una regolamentazione che di fatto non è mai esistita. Per farti un esempio: siamo tra le poche associazioni che pagano le tasse. Sì, paghiamo le tasse su un prodotto che in teoria è illegale vendere e lucrarsi. E in questo caso Stato è il primo che lo sta facendo. Quando nel 2013 abbiamo chiuso il primo trimestre di attività, abbiamo fatto una richiesta formale all’Agenzia delle Entrate su cosa avremmo dovuto fare con i guadagni nonostante siamo un’associazione senza scopo di lucro. Loro ci risposero ufficialmente e ci dissero che avremmo dovuto pagare il 21%, che è ciò che facciamo da più d 10 anni. Ogni trimestre paghiamo tasse sul nostro utile attraverso una autodichiarazione. Ogni anno il totale di questi 4 salassi diventa un numero a 6 cifre, e se poi facciamo un calcolo su 10 anni stiamo parlando davvero una bella cifra che si è intascata l’Agenzia delle Entrate. E in tutto questo tempo vi assicuro che mai nessuno ci ha detto “no; non li vogliamo questi soldi”. Che strano vero? Inoltre paghiamo, Seguridad Social, IRPF, stipendi ai collaboratori con un contratto – cosa che per un’associazione non sarebbe assolutamente obbligatorio – ma come dicevo prima la cosa più assurda è che allo Stato versiamo dei contributi sul fatturato, per cui, se lo Stato ritenesse che stiamo facendo qualcosa di illegale alla base, di fatto sarebbe nostro complice. E così come lo sto raccontando a voi l’abbiamo raccontato alla Corte nel 2016, nell’unico nostro processo che abbiamo avuto, nel quale, come dicevo, siamo stati assolti.
Puoi riassumerci l’evoluzione della complessa situazione normativa fino ad oggi?
Fino al 2014 il comune rilasciava delle licenze come club privato di cannabis, che è quella che abbiamo noi, successivamente è cambiata la denominazione (perché si son resi conto che non si poteva) ed diventata semplicemente club privato. Poi a seconda del momento politico c’è stata più o meno pressione spesso anche in relazione con la giurisprudenza del caso.
Nel 2016 è arrivata una sentenza della Corte Suprema, che ha annullato le licenze dei club in Catalogna sostenendo che i comuni non avrebbero potuto rilasciare questo tipo di licenze, perché essendo un contesto legato ad una sostanza controllata, non è una competenza comunale.
Quasi contemporaneamente nel 2015, è stata avviata un’iniziativa popolare di legge, chiamata Rosa Verda, di cui siamo stati tra i primi promotori. L’iniziativa mirava a regolare i club, e in 6 mesi abbiamo raccolto collettivamente circa 70mila firme. Nel 2016 il referendum è stato approvato dal Parlamento catalano rendendolo di fatto legge. In quel momento la Catalogna aveva ufficialmente legalizzato la cannabis e i CSC, e con essi la produzione, il trasporto e il consumo di cannabis. La felicità è durata poco però: è intervenuto immediatamente il Tribunale Supremo di Madrid, che ha annullato questa legge, adducendo anche in questo caso l’incompetenza della regione della Catalogna in materia. Quindi da lì siamo entrati in un far west. Nel senso che era un diritto aprire però il comune non ti poteva avere una licenza come prima. A quel punto in comune a Barcellona c’era Ada Colau, sensibile a questi temi, che si inventò un piano urbanistico segnalando dove si potevano localizzare i CSC, stabilendo anche una serie di requisiti come i sistemi di aerazione, la distanza da luoghi sensibili, e altri criteri. Se non avevi quelle caratteristiche, non potevi aprire un nuovo CSC. Siamo andati avanti così fino all’anno scorso. Nel 2023 però è cambiata l’amministrazione comunale siamo tornati di nuovo nel far west. In questo momento paradossalmente è possibile aprire un CSC senza licenza e senza seguire nessuna regola specifica (perché è un diritto aprire come lo è sempre stato), ma allo stesso tempo a Barcellona ci ritroviamo di nuovo in una zona grigia, senza una regolamentazione chiara. È triste vedere come la città che è stata la pioniera in questo movimento debba fare marcia indietro. Fortunatamente in Spagna ci sono altre destinazioni che ultimamente stanno dimostrando una maggiore apertura su questo tema come per esempio le Canarie.
LA NASCITA DEL G13
In 10 anni come hai fatto a creare quello che è diventato uno dei CSC più conosciuti e qual era il tuo background?
Io ho un background molto lungo nel settore perché sono nato in Svizzera, a Chiasso, dove dal 1998 al 2003 è come se la cannabis fosse stata legale grazie a una legge degli anni ’60. Iniziarono a proliferare negozi che vendevano ganja sotto forma di sacchetti profumati. In quel periodo avevo 16 anni e frequentavo il liceo Artistico a Varese rientrando ogni giorno a casa in Svizzera. Diciamo che è stato naturale prima fare un favore agli amici e poi… continuare a fare favori sempre più grandi. Poi, più avanti, ho vissuto quasi un anno in California, tra il 2007 e il 2008, proprio quando stavano aprendo i primissimi dispensari, lì ho avuto l’occasione di vedere molto da vicino quello che stava succedendo. Nel 2012 viaggiavo molto spesso in Spagna e appena ho visto che stava iniziando a muoversi qualcosa in questo senso ho pensato che era arrivato il momento di dare il mio contributo a questa transizione verso la legalità. Sentivo che dovevo fare questo passo e stare in prima linea a questo cambiamento. Così è nato G13.
E il G13 come è riuscito a crearsi questo nome?
Credo che le attività che abbiamo organizzato in tutti questi anni abbiano contribuito parecchio al nostro successo. Questo secondo me è stato un fattore determinante; ovviamente associato ad un buon servizio, a degli spazi ben curati e ad un prodotto impeccabile. G13 è un club con una forte vocazione artistica e culturale, puntiamo molto sulla community organizzando regolarmente attività dentro e spesso anche fuori dal club. Sosteniamo musicisti, artisti, abbiamo il nostro team di skateboard e parecchi dei nostri lavoratori provengono direttamente da queste realtà portando con sé questo valore aggiunto. Molti soci si sorprendono di vedere dietro al dispensario artisti internazionali come BaroniOneTime o Rxnde Akotza ad esempio, tutto questo insieme è la forza del brand e anche base del successo del club. Io personalmente vedo la realtà associativa come un ottimo esempio di economia circolare: il motore verde, che è la cannabis, ci permette di avere delle entrate considerevoli che possiamo reinvestire in altre attività, aiutando la nostra community e allo stesso tempo facendo crescere il brand. Siamo stati i primi in assoluto ad organizzare concerti di un certo spessore in un CSC, in un ambiente familiare diciamo, proponendo artisti che normalmente sono abituati a fare concerti davanti a migliaia di persone. Di italiani ad esempio abbiamo portato, tra gli altri, gente come Guè Pequeño o Massimo Pericolo, artisti che solitamente non si esibiscono in un contesto del genere.
A livello di genetiche cosa proponete?
Abbiamo alcune genetiche standard, che trovi sempre, e altre che girano a dipendenza del raccolto e di cosa stiamo sperimentando al momento. La nostra filosofia è come quella del ristorante che non pretende di avere 200 piatti, ma preferisce averne 15 di ottima qualità: troppa offerta confonde. Generalmente abbiamo una ventina di erbe e una 15ina di fumi ben selezionati, prediligendo sempre prodotti naturali.
Avete anche estratti e concentrati?
Sì, abbiamo la nostra gamma di estrazioni, anche se siamo specializzati sull’erba e sui dry.
E della piattella cosa ci dici?
E una bella novità, ed è l’ennesimo esempio che ci fa capire che questo è un settore tutto da inventare con ancora spazi enormi da colmare ed opportunità illimitate.
Che consiglio daresti a un giovane grower italiano che vorrebbe lavorare nel settore?
Se ha un budget e i numeri giusti gli direi di andare direttamente dove è legale, ad esempio negli Stati Uniti, perché qui in Spagna siamo in una situazione che al momento per quanto riguarda la produzione non ci permette di lavorare in modo veramente professionale come ci piacerebbe. Se vuole farlo in modo professionale deve andare per forza dove è legale.
State per aprire anche a Tenerife?
Siamo in un momento di espansione con un modello molto simile al franchising. Proprio in questi giorni stiamo aprendo una sede a Tenerife in Playa de las Americas e sempre nel 2024 abbiamo già pronte due nuove aperture che riveleremo in seguito. C’è molto fermento nel settore e si stanno avvicinando sempre più investitori che vorrebbero intraprendere questo percorso. Chi fosse interessato può contattarci, il modello che ha funzionato così bene a Barcellona sono sicuro che possa funzionare anche in altri posti nel mondo. Ora siamo in un momento decisamente buono per entrare nel mercato perché stiamo parlando di un’industria completamente nuova. Siamo in un momento cruciale a livello storico, per questa pianta e il suo utilizzo, e ci sono molti segnali che ci fanno davvero pensare che si stia avvicinando un gran cambio legislativo a livello globale. Questo ovviamente non succederà né domani né settimana prossima. Ma sono convinto che nei prossimi 2 o 3 anni il panorama di questo settore sarà molto diverso: quello che si sta muovendo a livello di iniziative in Germania, Svizzera e Portogallo ci fanno capire che non solo gli Usa vanno in questa direzione. È il momento giusto per puntare su tutta l’industria, non solo sul fiore, ci vuole lungimiranza e investire in cose che saranno essenziali per l’industria e che ancora non esistono. È un settore ancora tutto da inventare. Da zero.
Come mai il nome G13?
Contrariamente a quello che molti pensano il nome non è solamente un omaggio alla leggendaria genetica “G13”. Diciamo che è legato più alla numerologia e al suo significato. La lettera “G” che viene spesso usata in diversi ambiti ha questa importanza perché è la lettera numero 7 nell’alfabeto. Il numero 7 è un numero fondamentale in tantissime cose che ci circondano e sul quale si basano molte regole universali come ad esempio ci sono 7 note, 7 colori, 7 giorni della settimana… e potrei continuare. Invece il numero 13, a parte rappresentare un numero “magico” per me e che ha segnato tantissimi avvenimenti importanti nel mio percorso, rappresenta il cambio. L’evoluzione. In molte culture o credenze popolari il numero 13 è associato alla morte, ma non alla morte fine a se stessa: bisogna intenderlo più come una rinascita, un passaggio ad un livello superiore. Questa combinazione di lettere e numeri porta un’intenzione ed un messaggio molto preciso e anche se pochi conoscono il vero significato è una combinazione che da sola si impone, si fa sentire. E non dimentichiamo che in un anno con 52 settimane di 7 giorni ci sono 13 lune nuove. E questa è la vera ragione di “G13”, niente è messo lì per caso.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Lancio un invito a tutti i lettori che hanno intenzione di passare le vacanze pasquali a Tenerife per partecipare alla nostra settimana verde; da sabato 30 marzo faremo una maratona di 7 giorni con eventi, workshops, dub sessions, e per gli interessati ci sarà anche la possibilità di conoscere l’espansione di G13 “da dentro” con una serata dedicata esclusivamente al progetto franchising.
Per chi volesse ricevere informazioni riguardo alla settimana verde a Tenerife può compilare il formulario che trovate a questo link: https://g13club.es/links-tenerife.
Chi invece sarà a Barcellona in occasione della Spannabis e volesse passare a trovarci ci può contattare dalla nostra pagina ufficiale ww.g13club.com.