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Cosa sta succedendo in Kazakistan?

Le enormi proteste dei giorni scorsi e la minaccia di un colpo di Stato hanno reso il futuro del Kazakistan molto incerto

Il Kazakistan sta attraversando la peggiore crisi dal raggiungimento dell’indipendenza nel 1991. Le proteste per l’aumento del prezzo dell’LPG (Liquefied Petroleum Gas, un’alternativa economica alla benzina) nelle regioni a Ovest dello Stato si sono presto convertite in manifestazioni antigovernative di enormi proporzioni sparse per tutto il Paese, manifestazioni a cui il governo della capitale Nur Sultan ha risposto con estrema violenza. Tra l’intervento di forze militari russe e timori di un possibile colpo di Stato, il futuro del Kazakistan appare incerto e preoccupa la comunità internazionale, specialmente gli USA, da anni in lotta per sottrarre il Paese centroasiatico all’influenza del Cremlino.

Cosa sta succedendo in Kazakistan?

Le proteste

Iniziate a causa di un aumento superiore al 50% del prezzo del combustibile da parte del governo, le proteste si sono fin da subito dimostrate il mezzo ideale per denunciare la corruzione dilagante che affligge il Paese e per domandare un sistema maggiormente democratico. In Kazakistan vige, infatti, la stessa classe politica da oltre 30 anni e, a livello regionale, le massime cariche governative non sono elettive ma nominate direttamente dal presidente. Non è, dunque, un caso che uno dei principali obiettivi presi di mira dalle proteste di Almaty siano state proprio le sedi locali del partito di maggioranza di destra Nur Otan, di cui sono membri sia il presidente in carica Kassim-Jomart Tokayev e lo storico leader kazako Nursultan Narzabayev.

Dal 2 gennaio ad oggi, il bilancio delle proteste ad Almaty, primo centro economico della nazione nonché principale epicentro delle proteste, è, per il momento, di almeno 40 morti, quasi 1000 feriti e oltre 4400 arresti, ma, secondo alcune fonti, i numeri potrebbero presto aumentare. I provvedimenti implementati dal presidente Tokayev – che, nei giorni scorsi, ha ordinato alle forze dell’ordine di “sparare senza avvertimento” contro i manifestanti – sembrano, infatti, essere sempre più indirizzati verso una strada esplicitamente autoritaria, e, secondo alcuni, persino verso un vero e proprio colpo di Stato. Negli scorsi giorni di proteste, Tokayev ha, difatti, avviato un’operazione di epurazione del proprio circolo stretto, partendo da nomi come Karim Masimov, ex capo dei servizi segreti kazaki, arrestato in quanto “responsabile” delle rivolte ad Almaty, e lo stesso Narzabayev, storico presidente del Kazakistan ed ex direttore del Consiglio di Sicurezza del Paese. Accusato di essere fuggito vero il Kirghizistan o gli EAU, secondo fonti governative, Narzabayev si troverebbe, in realtà, ancora sul territorio nazionale.

Gli interessi di Russia e Stati Uniti

La situazione risulta particolarmente delicata. Lo scoppio delle manifestazioni ha spinto il governo kazako a richiedere l’intervento della CSTO – l’equivalente della NATO per gli ex Paese dell’URSS – per la prima volta nel Paese, mossa che minaccia un potenziale rafforzamento dei rapporti tra Nursultan e la Russia, impaziente di riportare il Kazakistan sotto la propria sfera di influenza. L’interesse è alto anche da parte degli Stati Uniti. Negli scorsi anni, diverse compagnie petrolifere ed energetiche USA hanno, infatti, investito decine di miliardi di dollari nell’area ovest della nazione centroasiatica, ricca di petrolio e gas naturale ed epicentro iniziale delle recenti proteste.



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