Il progetto contro lo spreco alimentare
Ogni anno, in Italia, circa il 20% della produzione ortofrutticola viene gettato poiché non conforme ai canoni estetici imposti dalla grande distribuzione. Per cercare di arginare questi numeri è nata l’associazione Bella dentro
Nell’immaginario comune, a una carota o a una mela perfetta si associa la buona qualità del prodotto. Così succede che frutta e verdura troppo piccole, pallide, ammaccate siano considerate “difettate” e finiscano dritte nella spazzatura come accade al 20 percento della produzione italiana.
La verità però è tutt’altra e ricordarla può aiutare a trovare soluzioni valide ed efficaci che possano aiutare cittadini e aziende a limitare lo spreco alimentare: la bontà di un prodotto ortofrutticolo non c’entra nulla con il suo aspetto esteriore.
Negli ultimi anni sono moltissime le iniziative messe in campo per sensibilizzare al problema. Tra queste c’è Bella dentro, l’associazione nata a Milano nel 2020 che acquista direttamente dai produttori tutto ciò che per motivi estetici viene considerato invendibile e poi lo immette sul mercato a prezzi contenuti, promuovendo una filiera distributiva alternativa a quella tradizionale, più etica e sostenibile.
Si tratta di un caso esemplare di economia circolare, che, in Italia, strappa alla spazzatura centinaia di tonnellate di raccolto con imperfezioni generate, sempre più di frequente, dagli eventi climatici estremi. Parte di questa frutta e verdura recuperate viene inoltre donata a enti benefici.
Lo spreco però non è solo a monte e non riguarda solo i prodotti difettati, ma coinvolge tutta la filiera, dal produttore fino ai consumatori.
I dati del Centro Comune di Ricerca della Comunità europea, piazzano l’Italia al primo posto delle nazioni più sprecone con 270 milioni di tonnellate di cibo che finiscono nella spazzatura proprio ad opera di quest’ultimi, con i vegetali ai primi posti sul fronte della tipologia di alimenti.
Una prassi che pesa su ambiente, contesti sociali ed economici. Ridurre gli sprechi potrebbe portare a un taglio delle emissioni di gas serra e a rallentare la distruzione della natura attraverso la conversione dei terreni, all’aumento della disponibilità di cibo e quindi a diminuire la fame nel mondo.
A cura di Mena Toscano