Repubblica Ceca: condannato giornalista per aver pubblicato una rivista sulla cannabis
La Repubblica Ceca, che si muove tra sforzi di legalizzazione e proibizione, ha condannato un giornalista per una rivista che vuole educare e promuovere un uso consapevole della cannabis
Il giornalista Robert Veverka, direttore della rivista ceca sulla cannabis Legalizace, è stato dichiarato colpevole dal tribunale di Ostrava, Repubblica Ceca, per “istigazione all’abuso di sostanze che creano dipendenza” e “per diffusione della tossicodipendenza attraverso la sua rivista”.
Una mossa che colpisce duramente sia la libertà di espressione che l’informazione indipendente, e fa ripensare alle possibilità di legalizzazione del Paese che, appena un mese fa, ha presentato un piano per regolamentare la cannabis.
INFORMARE SULLA CANNABIS È REATO? GIORNALISTA IN REPUBBLICA CECA CONDANNATO
Fondata nel 2010, con articoli che spaziano dalla coltivazione agli usi della canapa, dalle proprietà mediche alle strategie per la riduzione del danno, Legalizace è stata la prima rivista in Repubblica Ceca a voler sensibilizzare l’opinione pubblica e promuovere un uso consapevole della cannabis.
Missione che gli fu negata già il 3 novembre 2021, quando il tribunale distrettuale di Bruntál giudicò il giornalista colpevole. A più di un anno dal primo processo, verso il quale aveva presentato ricorso, Veverka spiega che è stato condannato “a causa di una legge sbagliata, che noi chiamiamo ‘legge di gomma’, che vieta la promozione di sostanze illegali“.
Secondo il giornalista, “è stato un doppio processo: sia io che la mia società, responsabile della redazione della rivista, siamo stati citati in giudizio e anche un solo articolo sarebbe bastato per dichiararmi colpevole di aver promosso una droga non consentita”.
“L’attuale legge e il proibizionismo in Repubblica Ceca causano più problemi della cannabis stessa”, si sfoga Veverka, mentre a livello internazionale il dibattito verte su una semplice domanda: “Fare informazione sulla cannabis è diventato un crimine?“. Se così fosse, saremmo colpevoli anche noi.