Compatti contro l’emendamento: chiesto confronto al governo
Con un comunicato le associazioni della filiera della canapa e quelle agricole nazionali chiedono un confronto al governo, dopo aver presentato una petizione al Parlamento europeo
Compatti contro l’emendamento del governo al ddl Sicurezza approvato alla Camera, che azzererebbe il settore della canapa industriale, ma aprendo al dialogo (con le istituzioni che restano sorde) e soprattutto anticipando la richiesta di danni allo Stato per i milioni di euro di investimenti fatti in questi anni.
Le associazioni del settore canapicolo (Canapa Sativa Italia, EIHA, Federcanapa, Sardinia Cannabis, Assocanapa, Resilienza Italia Onlus, Canapa delle Marche e UPCBD) e quelle nazionali del settore agricoltura (CNA Agroalimentare, Confagricoltura, CIA, COPAGRI, UNCI, Liberi Agricoltori, Altragricoltura, Associazione Florovivaisti italiani) si schierano unite tenendo il punto ma restando costruttive, offrendo una sponda al governo nel caso in cui decida di abbandonare la posizione pregiudiziale mantenuta fino ad oggi per trovare una soluzione.
LA PETIZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO CONTRO L’EMENDAMENTO
È il succo del comunicato stampa pubblicato ieri, dopo aver presentato una petizione al Parlamento Europeo per denunciare le gravi violazioni delle normative comunitarie e chiedere un intervento urgente.
«La petizione», spiegano, «sottolinea come tali misure violino i principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea, in particolare la libera circolazione delle merci sancita dagli Articoli 34 e 36 del TFUE, e la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, che ha già stabilito che il CBD non è una sostanza stupefacente. Le associazioni sono pronte a portare il caso davanti alla Corte di Giustizia Europea, contestando al governo italiano i danni economici che deriverebbero da queste normative. Un eventuale risarcimento alle imprese colpite graverebbe sulle casse dello Stato, e quindi sui cittadini italiani».
«Mi schiero con fermezza a fianco delle principali organizzazioni agricole, artigianali e commerciali italiane che si stanno opponendo ai provvedimenti che minacciano di distruggere un settore fondamentale per l’economia e l’ambiente del nostro Paese», afferma l’eurodeputata dei Verdi Cristina Guarda alla luce della presentazione della petizione al Parlamento Europeo. «Hanno giustamente presentato una petizione al Parlamento Europeo per denunciare le gravi violazioni delle normative comunitarie introdotte dal Governo con il Decreto Ministeriale sul CBD del 27 giugno 2024 e l’Articolo 18 del DDL Sicurezza», continua spiegando che: «Queste misure violano il diritto europeo sulla libera circolazione delle merci, oltre a ignorare la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE, che ha già stabilito che il CBD non è una sostanza stupefacente. Addirittura in altri Stati la incentivano attraverso l’uso dei fondi europei per l’agricoltura! Ho combattuto questa battaglia per 9 anni in Consiglio regionale Veneto e continuerò a farlo ora come parlamentare europea, dialogando con tutti I membri della Commissione Petizioni, di cui sono vicepresidente».
INVESTIMENTI GIÀ EFFETTUATI: CHI PAGA?
L’altro tasto dolente riguarda i grandi investimenti fatti dalle aziende in questi anni. «Molti imprenditori», si legge infatti nel comunicato, «hanno investito legittimamente in questo settore, acquistando macchinari specifici, sviluppando infrastrutture e stipulando contratti a lungo termine basati sulle leggi vigenti. La repentina modifica delle normative metterebbe a repentaglio questi investimenti, senza alcuna garanzia o indennizzo. Questo crea incertezza e sfiducia non solo tra gli operatori nazionali, ma anche tra gli investitori esteri, compromettendo la credibilità dell’Italia come Paese affidabile per gli investimenti».
APPELLO AL GOVERNO PER UN CONFRONTO COSTRUTTIVO
Le organizzazioni firmatarie chiedono al governo di aprire un tavolo di confronto con le associazioni di categoria per trovare soluzioni condivise che rispettino le normative europee e tutelino un settore strategico per l’economia italiana. «È fondamentale che il governo segua le procedure stabilite a livello comunitario, assicurando un quadro normativo chiaro e stabile. Solo attraverso il dialogo e la collaborazione sarà possibile affrontare le problematiche in modo serio e costruttivo, evitando danni economici e sociali irreparabili».
L’ITALIA RISCHIA DI PERDERE UNA GRANDE OPPORTUNITÀ
«Mentre altri Paesi europei come Francia e Germania», è la conclusione, «incentivano la crescita della canapa industriale, riconoscendone i benefici economici e ambientali, l’Italia rischia di perdere una grande opportunità. La canapa industriale contribuisce non solo all’economia, ma anche alla sostenibilità ambientale, grazie alla sua capacità di assorbire CO2 e alla riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari».
Come infatti viene evidenziato nel comunicato, «l’Articolo 18 del DDL Sicurezza e il Decreto Ministeriale sul CBD del 27 giugno 2024 minacciano di bloccare la produzione, la trasformazione e la commercializzazione della canapa industriale, un settore legale e regolamentato che offre lavoro a circa 15mila persone e genera un fatturato annuo di 500 milioni di euro. Questi provvedimenti, se attuati senza modifiche, bloccherebbero lo sviluppo di un intero comparto economico, mettendo a rischio migliaia di aziende agricole e commerciali».
MANIFESTAZIONE DAVANTI AL SENATO
Intanto Cgil e Uil, con l’adesione del centrosinistra e altre associazioni, hanno organizzato una manifestazione davanti al Senato prevista per oggi, per protestare contro la deriva liberticida del ddl Sicurezza, che introduce 24 nuovi reati inaugurando la stagione del “trionfo del populismo penale”. Tra i provvedimenti più contestati c’è quello che aumenta le pene per chi danneggia qualcosa in un luogo pubblico; l’aggravante nel caso in cui la protesta sia contro la realizzazione di un’opera pubblica o infrastruttura strategica (leggasi Tav o Ponte sullo Stretto di Messina); il carcere per le donne incinte e le madri di figli che hanno meno di un anno; l’invenzione del reato di rivolta in carcere, che punisce non solo i detenuti che effettuano violenze ma anche quelli che scelgono la “resistenza passiva”, per esempio quelli che fanno lo sciopero della fame; il divieto di avere una Sim telefonica per non ha un permesso di soggiorno; infine, viene consentita la detenzione di una seconda arma senza licenza per i poliziotti che, secondo le sindacaliste Cgil Daniela Barbaresi e Lara Ghiglione, «suona come un riconoscimento a un esercizio della sicurezza in forma privata non compatibile con il nostro ordinamento costituzionale».