Common – The Dreamer/The Believer (recensione)
Mi sono innamorato di Common tardi: era appena uscito Be. Un disco che ho ascoltato tantissimo, che vedeva nella fusione tra il rapper e il compianto J Dilla un alchimia straordinariamente perfetta.
Prima non lo sopportavo, lo trovavo noioso e per nulla affascinante. Dopo aver assolto a questo mio peccato con 10 Ave Maria, non me ne perdo un uscita, possa essere un esperimento un po’ diverso, come “Universal Mind Control”, o un disco come questo, autentico al 100%.
Common ha ridefinito l’idea di hip hop a grandi livelli, spiegando al mondo che attraverso il rap si può parlare veramente di tutto in un periodo in cui il livello delle liriche si era livellato verso il basso; tutto questo raggiungendo una fama importante, spaziando tra la musica e il cinema e pubblicando anche un libro di memorie, finendo di fatti con l’essere genericamente classificato su Wikipedia come “Entertainer”, cosa che mi ha fatto un po’ sorridere.
La sua ultima fatica è “The Dreamer/The Believer”, un titolo che già racconta molto e che viene anticipato dalla collaborazione con Nas in “Ghetto Dreams” il pezzo più potente del disco. Un ritorno alle origini, visto che è interamente prodotto da No I.D, un nome che ultimamente si è sentito molto spesso, per le collaborazioni con Jay-Z e Kanye West, ma che se si scava si scopre essere il produttore originario dei primi lavori del rapper di Chicago.
I dischi di Common vanno sempre ascoltati a lungo, per esserne completamente assorbiti; “The Dreamer” apre il disco, e “The Believer” lo chiude. Il primo è un pezzo stupendo, nel quale il rapper si autodefinisce un “hopeless hip hop romantic” e che si chiude su un sermone della poetessa Maya Angelou; un testo da leggersi assolutamente. Il secondo, più potente, vede l’amico John Legend alle prese con un ritornello decisamente spesso, soprattutto dal punto di vista lirico e prelude al canonico spazio per “Pops”, il papà di Common, ex giocatore di Basket professionista che in ogni album lascia una traccia di sé stesso, con dei lunghi discorsi.
Al centro il solito vorticoso incedere delle liriche di Common, che sanno tracciare solchi profondi sia nelle strofe più personali sia in quelle più stylish (e ce ne sono, se si pensa che “Sweet” sembra essere stata intesa addirittura come un dissing a Drake, non ditemi che non l’avete letto da nessuna parte). Un alternarsi tra le venature più caramellate di pezzi come Lovin I Lost – con il sample che alla fine rende un inconsapevole Curtis Mayfield l’autore di un ritornello che ci sta bene come il cacio sui maccheroni – o il rilassatissimo storytelling “Windows” a quelle più auto celebrative di “Raw (How You Like It)” e festose, come in “Celebrate”. Il tutto passeggia su una moquette morbida, prodotta da un beat maker che evidentemente sapeva bene con che genere di MC avrebbe collaborato.
L’hip hop è un veicolo particolarissimo, non mi stancherò mai di scriverlo nelle mie recensioni, a costo di sembrare ripetitivo; è una musica che riesce a trasmettere emozioni diametralmente opposte con il solo uso della parola e qualche campione. Riesce ad essere straordinariamente potente e allo stesso tempo straordinariamente mistico e profondo; tra i generi musicali “non generalisti”, passatemi il termine, è quello che offre il ventaglio più ampio di alternative e riesce ad accompagnare qualsiasi tipo di umore e qualsiasi tipo di giornata, non siete d’accordo?
Common è uno di quei rappers dell’hip hop mainstream che ti sanno emozionare; un autentico romantico, di quelli che ti fanno rimpiangere di non essere madrelingua, per poter cogliere tutte le sfumature della sua scrittura. Per di più è uno di quelli che sa fare dischi e sfruttare il proprio potenziale, per quello con lui si va sempre sul sicuro. Mi viene in mente quando ascoltai un suo featuring sul disco di Ludacris: il pezzo si chiamava “Do the right Thing” e ricordo di aver pensato che non c’era un rapper migliore di Common per un titolo come quello. Lui per ora è uno di quelli che la cosa giusta l’ha sempre fatta e che non ha mai sbagliato un colpo. Per questo, “The Dreamer/The Believer” è esattamente quello che mi aspettavo: l’ennesima, superba fatica un Artista con la A maiuscola.
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Robert Pagano