Un commerciante di Cannabis light è stato denunciato per spaccio: a rischio tutto il settore?
La Guardia di Finanza di Vieste (Foggia) ha sequestrato 19 confezioni di cannabis light a marchio “Mary Moonlight” presso un growshop locale e denunciato il suo titolare per violazione dell’art. 73 del DPR 309/90 (spaccio di sostanze stupefacenti). Nel verbale i militari hanno dichiarato che i prodotti sequestrati sono “da considerarsi a tutti gli effetti sostanze stupefacenti o psicotrope” ai sensi di legge. Si tratta di una operazione che, come vedremo, ha risvolti potenzialmente destabilizzanti per tutto il mercato della canapa a basso contenuto di THC in Italia.
I fatti: il 13 marzo scorso i militari della locale Guardia di Finanza di Vieste sono intervenuti presso il negozio (non riportiamo il nome dell’esercizio e del titolare per ragioni di privacy) e chiesto al gestore di mostrare la documentazione della cannabis light posta in vendita. Il titolare ha mostrato le regolari fatture ed anche copia della “Dichiarazione di conformità del prodotto”, nel quale si attestava che le varietà acquistate erano “conformi alle prescrizioni ed ai limiti quantitativi previsti dalla legge 242/2016, non assoggettabile al DPR 309/90”. Diverso però il parere dei militari, che hanno proceduto al sequestro della merce ed all’incriminazione del titolare. Le motivazioni sono state esplicate nel verbale, dove si legge: “1. Tutti i prodotti esposti alla vendita, nell’etichetta richiamano la Legge 02 dic 2016, n. 242 quale autorizzazione alla vendita legale, invero la stessa Legge risulta essere destinata solo ed esclusivamente per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa e non alla libera commercializzazione. 2. Gran parte degli stessi prodotti hanno un THC 0,52% e CBD 16,43%, pertanto sono quindi da considerarsi a tutti gli effetti sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi del DPR 309/1990″. Per questo, continua il verbale, il titolare del negozio assume alla luce dei fatti “la figura di persona indagata, in stato di libertà, per il reato di cui: Art. 73, comma 5, del DPR 309/90″.
Evidentemente la disputa corre in punta di diritto e si articola sulle diverse interpretazioni possibili della legge sulla canapa industriale (ovvero la già citata legge 242/2016). Proviamo a spiegare meglio: la legge 242 innalza la soglia di THC tollerato nelle coltivazioni legali dal precedente 0,2% allo 0,6%, tuttavia specifica anche che si tratta solo di una soglia di tolleranza, mentre le coltivazioni debbono comunque provenire da sementi certificate con concentrazioni di THC inferiore allo 0,2% e, soprattutto, devono essere incluse tra le sementi certificate a livello europeo per la coltivazione a fini industriali. Inoltre la legge non disciplina le importazioni e il commercio delle infiorescenze. Nel nascente mercato della “cannabis light” italiana sono presenti due diversi tipi di prodotti:
1. La canapa italiana, prodotta sul territorio nazionale da aziende agricole del settore della canapa industriale, che operano solo con sementi certificate legali secondo la nostra legislazione.
2. La canapa d’importazione svizzera, che solitamente proviene da sementi non autorizzate alla coltivazione in Italia, visto che la più permissiva legge svizzera considera legale la coltivazione di ogni tipo di canapa che abbia concentrazioni di THC inferiori all’1%.
Fino ad oggi le aziende che commerciano canapa di provenienza svizzera hanno ritenuto di operare comunque all’interno dei confini della legge italiana importando infiorescenze con concentrazioni di THC inferiori alla soglia di tolleranza dello 0,6%. Una interpretazione della legge assecondata anche dalle “dichiarazioni di conformità” rilasciate dai produttori svizzeri e sostenuta dagli avvocati che forniscono loro consulenza legale (anche se ultimamente al centro di diverse interpretazioni da parte istituzionale). Un’interpretazione delle leggi che, evidentemente, non ha convinto i finanzieri di Vieste, i quali ritengono che questo modo di operare non sia legale.
«La canapa che importiamo dalla Svizzera è munita delle autodichiarazioni dei produttori che affermano di operare in conformità con le leggi italiane – dichiara Pietro Moramarco, amministratore di Mary Moonlight – ed anche gli avvocati dei quali ci avvaliamo ci hanno sempre confermato che nel nostro modo di operare non c’è niente di illegale. Ora aspettiamo che si faccia chiarezza, ma anche noi siamo parte lesa in questa faccenda».
Ancora è presto per trarre conclusioni. Ad ogni modo è evidente come – qualora il Pubblico Ministero incaricato dovesse sposare la tesi incriminatoria della Finanza – potremmo trovarci di fronte a uno spartiacque giuridico che rischierebbe di mettere fuori gioco tutte le aziende del settore che importano canapa dall’estero e potrebbe portare all’incriminazione per spaccio di centinaia di negozianti in tutta Italia, colpevoli solo di aver creduto in buona fede alle “dichiarazioni di conformità” presentate loro dai soggetti produttori. Nei prossimi giorni Dolce Vita pubblicherà nuovi approfondimenti giuridici sulla questione.