Come può essere un reato coltivare la propria cura?
Salvo è un cittadino italiano che, da più di venti anni, soffre di una patologia invalidante. Diversi anni fa lesse dei benefici della cannabis. Effettivamente, quando l’aveva usata a scopo ricreativo, aveva avuto più appetito e aveva dormito meglio, ma il suo medico era stato perentorio: «La cannabis è droga, provoca dipendenza e gravi danni alla salute». Passarono gli anni e anche in Italia, nel dicembre 2017, venne definitivamente stabilita la possibilità di usare cannabis a scopo terapeutico per svariate patologie, prevedendo anche la somministrazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Salvo, allora, si recò nuovamente dal suo medico che, pur dandogli ragione, ammise di non sapere cosa scrivere nella ricetta. Se la cannabis fosse stata già materia di studio all’università, sarebbe stata prescritta gratuitamente dai medici di famiglia e usata come lo sono oggi le penicilline; invece Salvo fu costretto a rivolgersi a uno dei pochi specialisti su piazza, pagando la visita 150 euro. Dopo la ricetta e ricevuto il preventivo dalla farmacia – in cui veniva calcolato il costo della cannabis, la preparazione galenica, le analisi e il trasporto – capì che economicamente non avrebbe potuto permettersi quella spesa mensile. Comprò ugualmente il farmaco per provarlo. Funzionò davvero. Cercò allora di ottenere la somministrazione gratuita, ma la sua malattia non era sufficientemente invalidante.
Cercando su internet scoprì che l’azienda produttrice della cannabis terapeutica (Bedrocan), prima coltivava prezzemolo. La curiosità lo portò a istruirsi sulletecniche di coltivazione, scoprendo che esistono migliaia di negozi e siti internet dove è possibile acquistare l’occorrente per produrre cannabis. Le ricerche lo portarono a conoscere la storia di Rick Simpson e le specifiche tecniche per preparare il miracoloso olio. Da quel momento decise di applicare la soluzione più logica ed economica possibile: se le sue medicine erano prodotte da fiori secchi di cannabis, lui li avrebbe coltivati in casa. Avrebbe violato la legge, ma limitare o impedire il diritto alla cura è certamente un reato peggiore.
Acquistò e piantò i semi della genetica più simile alla varietà da cui avevano preparato il suo farmaco. Dopo poco più di tre mesi raccolse un quantitativo di fiori sufficienti per sei mesi di cura. Fece analizzare i fiori da un laboratorio privato, che già indagava le infiorescenze di cannabis industriale, che provò l’assenza di muffe e batteri nocivi.
Preparò un estratto col metodo di Rick Simpson, diluendolo in olio per assumerlo più facilmente. Il sapore non risultò uguale a quello del farmaco comprato in farmacia, ma funzionò bene comunque. Da allora Salvo ha risolto molti dei suoi problemi ed è riuscito persino a trovare un medico che lo segue nella terapia, anche se non acquista la cannabis in farmacia. E se la Polizia dovesse bussare alla tua porta? Salvo mostrerà la vecchia prescrizione e la fattura di acquisto del farmaco, a prova che non può permettersi di comprare legalmente la cannabis in farmacia.
Effettivamente la sua coltivazione in ambiente sterile, la modica scorta di cannabis e il preparato galenico “fai da te” che assume non sono riconducibili al reato di spaccio. Salvo ammette che è pericoloso preparare da sé le medicine, ma la cannabis ha una bassissima tossicità: nessuno ne è mai morto nonostante i milioni di consumatori a scopo ricreativo. E pochissimi hanno problemi di dipendenza che, comunque, sono legati a devianze dell’individuo e non alla sostanza in sé. Per quanto riguarda invece la salute, al mondo ci sono più obesi che dipendenti da cannabis e i primi rischiano la vita più dei secondi: anche la teoria del passaggio è una bugia proibizionista a cui nessuno crede più.
Sarà anche illecito coltivare cannabis, ma Salvo dimostra che per molti pazienti non vi è altra soluzione, tranne quella di accettare una legge ingiusta e tenersi le sofferenze che la malattia comporta. Inoltre auto-produrre permette di non gravare sulle scarse scorte delle farmacie, agevolando così chi non può coltivarla e chi necessita di preparazioni galeniche specifiche che solo un laboratorio può fare.
Salvo ritiene fermamente che non vi sia soluzione alternativa alla presa di coscienza di ogni singolo cittadino maggiorenne in merito all’insensato divieto di coltivare una specie vegetale edule e non velenosa in casa propria. Non parla di “cura fai da te”, ma di esercitare la propria libertà personale all’interno delle mura domestiche. Nelle case degli italiani troppo spesso si consumano reati ben più gravi del coltivare marijuana: violenze e abusi su donne, bambini e animali, ad esempio. Reati gravi, spesso non puniti.
Diversi giudici hanno iniziato ad assolvere cittadini arrestati per coltivazione illecita; infatti la scarsa pericolosità sociale rappresentata da chi coltiva cinque piante di cannabis, non giustifica la detenzione – cinque è il numero massimo di piante coltivabile previsto dal testo di legge che non passò in Parlamento per soli 16 voti, nell’ottobre del 2017.
La legalizzazione ha dato esiti positivi in tutti i Paesi che hanno abbandonato il proibizionismo. Invece in Italia un cittadino può esser perseguito e giudicato colpevole da chi, irragionevolmente, fa rispettare una legge frutto di semplici e infondati pregiudizi. Salvo pensa che, addirittura, dovrebbero rimborsare il cittadino a cui, in maniera coercitiva e senza un reale pericolo (non è colpa di chi si dedica all’autoproduzione se aumenta il consumo di cocaina ed eroina) viene negata la libertà personale, subisce violazione di domicilio e viene praticamente negato, come nel suo caso, il diritto alla cura. Salvo ha ragione. Quella ragione che non verrà riconosciuta sino a quando tutti i coltivatori di cannabis si sentiranno criminali e non vittime, e continueranno a nascondersi invece di fare lo stesso ragionamento che Salvo sostiene davanti a magistrati, giudici e Forze dell’Ordine.
La Giustizia ha cose più importanti a cui pensare e non deve più perder tempo dietro le migliaia, forse milioni di cittadini che coltivano qualche pianta in casa o in giardino. La cannabis resta la droga illegale più terapeutica, meno pericolosa, più usata, coltivata e commercializzata in Italia ed è inutile continuare a scoraggiare la massa, punendo una piccola e sfortunata percentuale di coltivatori. Inutile rovinare la vita a cittadini che, praticamente, non creano danni se non alle narcomafie. Hanno ragione tutti i Salvo, a prescindere dalle leggi proibizioniste e dal pensiero altrui.