Coltivare outdoor: le fasi iniziali
Preparazione e disinfestazione del terreno per la nuova stagione di coltivazione all’aperto
La cannabis, è sempre stata coltivata dall’essere umano. Antichi testi cinesi e indiani risalenti a oltre 2mila anni fa ne menzionano l’utilizzo per usi comuni (corde, tessuti, manufatti etc.) e il consumo per scopi medicinali e ricreativi. La canapa fu, sin dal principio, una pratica culturale per molte comunità in diverse aree geografiche del pianeta. Mentre oggi è vista dalla maggior parte delle persone come una “droga”, invece nell’antichità era vista come una qualsiasi altra pianta; e proprio come una qualsiasi altra pianta è stata coltivata e addomesticata all’aperto.
Visto l’imminente inizio della stagione outdoor 2022, vediamo le tecniche agronomiche più utilizzate per la preparazione e la disinfestazione del terreno sotto un profilo eco-sostenibile.
PREPARAZIONE DEL TERRENO E DEL LETTO DI SEMINA
La cannabis può essere coltivata in una varietà di terreni, ma cresce meglio in terreni sciolti e profondi, che hanno una buona percentuale di materia organica e un pH compreso tra 6,0 e 7,5.
I terreni umidi invece, possono limitare la crescita delle radici e di conseguenza dei germogli, nonché ridurre la qualità dei complessi fitocannabinoidi e provocare altezze irregolari delle piante nella stessa coltivazione.
La preparazione del terreno per la cannabis è simile ad altre colture, con variazioni anche significative a seconda che si tratti di canapa da fibra, da seme o per inflorescenze da destinarsi ad uso florovivaistico, medico o ricreativo.
La preparazione del terreno, in sintesi, dipende dai sistemi colturali specifici, e, su grandi dimensioni, dallo schema di rotazione in uso a discrezione del coltivatore o dell’azienda agricola che ne gestisce la produzione.
Nel caso della canapa destinata alla raccolta del seme e della fibra è preferibile un semenzaio solido con un buon contatto con il suolo per coadiuvare al meglio la germinazione. Mentre per fornire un letto di semina solido e privo di infestanti è consigliabile un’aratura autunnale profonda e una lavorazione secondaria più finita.
La temperatura del suolo, la durata della crescita della coltivazione ed eventuali pericoli legati alle gelate, determinano la scelta del periodo di semina. Alcune varietà di canapa, per contro, riescono anche a germinare con temperature molto basse, ma la germinazione è più sicura e affidabile quando il terreno si trova a una temperatura non inferiore ai 10/12° C. Una semina anticipata potrebbe esporre le giovani piantine a imprevedibili gelate, rappresentando così un alto rischio per l’agricoltore e per l’intero raccolto.
Tenendo conto di alcune esperienze personali e della letteratura scientifica, le giovani piantine di canapa possono anche sopravvivere a una leggera gelata, ma è sempre consigliabile seguire le tabelle meteorologiche stagionali, peculiari da regione in regione.
Uniformando la situazione della nostra penisola, generalmente il periodo adatto per piantare all’aperto la cannabis da fiore va dalla seconda metà del mese di aprile a tutto il mese di maggio.
Non escludo che mi è capitato spesso di vedere impianti avviati in pieno mese di giugno, con un ottimo successo produttivo (ma questa è un’altra cosa).
La preparazione del letto e le procedure di semina per la cannabis coltivata per la produzione di estrazione di oli essenziali e inflorescenze a scopo medico e ricreativo, sono diverse dalla cannabis coltivata per la produzione di seme (non da collezione) o per produzione di fibra.
La maggior parte delle varietà di cannabis coltivate per inflorescenze, sono dioiche, anche se da diversi anni ha preso piede l’utilizzo di piante nate da seme femminilizzato o con l’impianto diretto di talee provenienti da piante madri precedentemente selezionate.
Come ben sappiamo, le resine di alta qualità si trovano nei fiori delle piante femminili che non hanno ricevuto polline dalle piante maschili, proprio per questo l’utilizzo di semi regolari (dioici) è altamente sconsigliato; pertanto vengono impiegati metodi di allevamento e pratiche culturali per massimizzare il numero di piante femmine non fecondate riducendo così al minimo il rischio trasferimento di polline da eventuali piante maschili.
Nonostante tutti gli accorgimenti presi in loco, sappiamo bene che il polline maschile può compiere anche diversi chilometri se trasportato dal vento. Per scongiurare questo problema, (es: campi di canapa da fibra monoica nelle vicinanze) molti coltivatori proteggono le piante con delle reti antipolline. In questo modo riescono a tenere sotto controllo eventuali noncuranze di canapicoltori vicini o confinanti.
I semi di cannabis stabilizzati e femminilizzati, sono abbastanza costosi; pertanto non vengono seminati direttamente sul terreno ma vengono avviati su seminiere o plateau e fatti germinare all’interno di impianti, greenhouse o indoor, per poi essere trasferiti in campo aperto da una a quattro settimane dopo la germinazione.
Per migliorare il riscaldamento del suolo, massimizzare il controllo delle erbe infestanti e la ritenzione dell’umidità il terreno viene spesso coltivato in fasce più o meno larghe (a seconda degli strain utilizzati) e quindi ricoperto da un film di polietilene che ha la stessa funzione della pacciamatura. A seconda dell’indirizzo eco-sostenibile del grower questi film possono essere costituiti da diversi materiali. Fra le più diffuse ed eco-sostenibili ci sono le pacciamature compostabili realizzate in eco-plastiche (mais o altri materiali simili). Un altro tipo di pacciamatura in auge fra i coltivatori più attenti all’ambiente è la cosiddetta “pacciamatura vivente” che può essere ottenuta con coperture costituite da piante rade e fitte, dette anche azoto-fissatrici. Queste piante, oltre ad aggiungere sostanze nutritive al terreno, migliorano la porosità dello stesso, contrastano la crescita delle piante infestanti (erbacce) e prevengono l’erosione del suolo. Non solo, un’adeguata pacciamatura vivente garantirà una maggiore fertilità al terreno per la semina della stagione successiva. Le piante più usate per ottenere una pacciamatura vivente sono in primis le leguminose, il timo lanoso, vari tipi di trifoglio (come il trifoglio nano e il trifoglio rosso), la festosa rossa strisciante e tante altre varietà con capacità simili. La scelta di tali tappeti erbosi è molto vasta, tant’è che si possono unire alla pacciamatura anche piante che producono frutti. È consigliato piantare i tappeti viventi dopo aver eseguito tutte le fasi preparatorie del terreno in modo che al momento della semina o del trapianto il letto sia ben colonizzato.
Curiosità: alcuni famosi coltivatori outdoor degli Stati Uniti sono soliti aggiungere alla pacciamatura piante di anguria, melone ed altri frutti stagionali che possono vivere in simbiosi con la cannabis senza precludere la crescita della stessa.
SOLARIZZAZIONE DEL TERRENO
Una tecnica preparatoria del terreno che merita attenzione sia per la sua versatilità sia per il rispetto ambientale è la solarizzazione del suolo, che impiega all’unisono l’energia dell’acqua e del sole. Lo scopo principale della solarizzazione è quello di uccidere le erbacce e impedirne la ricrescita, e allo stesso tempo funge da controllo preventivo delle malattie causate dai parassiti presenti nel terreno, in quanto le elevate temperature contribuiscono alla disinfestazione degli stessi.
Come funziona la solarizzazione del suolo? Il processo ha inizio con la stesura e la copertura del terreno precedentemente preparato con un grande telo a prova d’aria realizzato in materiale plastico, con questa copertura si tende ad accumulare energia solare che di conseguenza fa aumentare repentinamente la temperatura del suolo. A seconda del luogo e della posizione del campo la temperatura del terreno nelle aree sottoposte a solarizzazione può raggiungere punte che vanno dai 45 ai 60°C.
Una corretta preparazione del terreno prima della solarizzazione è il primo passo verso il successo. In questa fase è importante:
- scegliere la plastica da utilizzare a seconda del luogo e delle caratteristiche intrinseche del territorio;
- seguire un test accurato del suolo per conoscerne la composizione, la costituzione e la tessitura.
La scelta del tipo, del colore e dello spessore della plastica gioca un ruolo essenziale. I teli in PVC (cloruro di polivinile) ed EVA (etilene-vinil acetato) hanno proprietà ottiche migliori ma sono generalmente più costosi, per questo motivo il PE (polietilene) è l’opzione più comune.
Il telo in PE (polietilene) nero è di gran lunga quello più economico e versatile, ma un materiale plastico incolore o trasparente ha proprietà migliori nel far penetrare i raggi solari e fornire calore alla terra. Tuttavia nelle zone più fredde viene preferito il polietilene di colore nero, in quanto controlla meglio le erbe infestanti che potrebbero invece svilupparsi sotto la plastica trasparente quando il calore è insufficiente.
Il polietilene più sottile è il migliore per ottenere il massimo riscaldamento, ma ha lo svantaggio di danneggiarsi facilmente. Nelle zone ventose, ad esempio, viene tipicamente utilizzato un tipo di polietilene più spesso.
I terreni argillosi trattengono l’umidità più a lungo, il che significa che possono anche produrre vapore più a lungo migliorando così l’effetto della solarizzazione. Per favorire i compiti di questa tecnica è consigliata la creazione di innalzamenti centrali per far defluire l’acqua piovana dalla plastica, così da non permettere un raffreddamento delle aree sottostanti; oltre a monitorare l’umidità e idratare i letti quando si ritiene necessario.
L’umidità eccessiva o insufficiente del suolo non consentirà l’ottenimento dei risultati desiderati, per il successo della solarizzazione del suolo è necessario bagnare i letti e far filtrare l’acqua ad almeno tra 50/60 centimetri di profondità. L’apporto di acqua al terreno da solarizzare sarà gestito dallo stesso impianto in tubazioni di PVC utilizzato per l’irrigazione delle piante durante tutto il ciclo. La durata della solarizzazione varia dai 30 ai 45 giorni a seconda della zona e dei fattori climatici stagionali.
COME CALCOLARE IL SESTO DI IMPIANTO?
La disposizione geometrica delle piante è un fattore da tenere bene in considerazione durante la semina. In fase di semina o di impianto di talee le singole piantine sono distanziate fra loro in filari per consentire a ciascuna di svilupparsi nella sua naturale grandezza. Queste disposizioni sono meglio conosciute col nome tecnico di “sesto d’impianto”.
I sesti d’impianto sono generalmente realizzati a forme geometriche regolari, con la distribuzione delle piante in allineamenti paralleli fra loro, detti filari, separati da fasce rettangolari dette interfile o intrafile.
Le distanze più usate per la cannabis vanno da un minimo di 1 metro a un massimo di 2 metri tra una pianta e l’altra all’interno del filare, e da 1,20 a 2 metri di interfila tra un filare e l’altro. Questa spaziatura consente alle piante di espandersi e produrre la massima densità di fioritura. Le dimensioni delle interfile, oltre alla grandezza della pianta in piena fioritura, dipendono anche dalla grandezza dei macchinari e dalle attrezzature utilizzate per la modellatura e la lavorazione del terreno.
In genere, mantenere distanze più grandi consente al grower di operare al meglio nel campo senza ferire o danneggiare le piante e offre una maggiore circolazione dell’aria, così da ridurre eventuali eventi negativi legati alla scarsa ventilazione.
A cura di Groow