Coltivare all’aperto
“La canapa sarebbe (ed è!) contenta di poter crescere libera e in pieno sole, sotto gli occhi di tutti e senza essere infamata da tante menzogne sul suo conto”(da Canapicoltura Indoor, prod. Shambu)
Negli ultimi anni le tecniche di coltivazione della canapa si sono molto diversificate per poter trovare un modo di coltivazione ottimale soprattutto in interni, in ambienti chiusi e il più possibile isolati. Questa è stata una necessità, creata soprattutto dal proibizionismo. Necessità soprattutto di sfuggire ad occhi indiscreti e a problemi gravi, creati da una politica di menzogne contro la cannabis che ormai dura da quasi un secolo.
Si sono rapidamente individuate le necessità e le quantità ottimali di aria, luce, acqua, calore e nutrimenti in ogni fase di sviluppo delle nostre piante e si sono create rapidamente moltissime nuove varietà, frutto di incroci fra razze di cannabis che vivono in ambienti anche molto diversi fra loro.
Qualunque intenditore cannabinofilo riconoscerà però che in interni si può sicuramente ottenere un eccellente prodotto, ma che la stessa pianta coltivata all’aria aperta ed alla luce del sole, con le radici che affondano nella terra, sarà magari meno perfetta da vedersi (non avrà sicuramente goduto di condizioni ottimali per tutto il suo ciclo vitale), ma quasi sempre sarà più completa di gusti e aromi e, cosa più importante, il suo effetto non sarà soltanto una “botta” (high o stone, a seconda delle varietà) per qualche minuto: potrà essere più “sottile”, “magico”.
La sperimentazione e la ricerca all’aperto sulle varietà e le tecniche di coltivazione della cannabis da resina da parte di veri agricoltori, sono da lungo tempo bloccate dal proibizionismo. Ci sono sempre meno località nel mondo dove si coltiva la cannabis da resina in un modo tradizionale e i pochi tentativi di coltivazione “normale” nel mondo occidentale (Svizzera, Olanda) si sono svolti in paesi dove le condizioni ambientali non sono sicuramente le migliori per una maturazione ottimale della maggior parte delle varietà.
La maggior parte dei coltivatori ha esperienza di ambienti ristretti, dove può crescere un numero di piante limitato e le stesse dovranno essere limitate nelle dimensioni. In situazioni di “guerriglia” sarà necessario dover creare un microclima particolare per pochissime piante, e questo tipo di esperienza sarà in questo caso utile e necessario. In caso si potesse coltivare in pieno campo, ettari di cannabis da resina, non ci sarebbe più la conoscenza delle tecniche ottimali. In Svizzera si era arrivati a dare quattro metri quadrati ad ogni pianta femmina, il che significa 2500 piante per ettaro, con una resa massima di mezzo chilo di infiorescenze secche per pianta: 1250 chili di prodotto in condizioni ottimali.
Ad un recente convegno si è vista la mancanza di pratica in campo dei “tecnici” qualificati, che hanno proposto dei dati impossibili: trecentomila piante ad ettaro (30 piante per metro quadrato), con una resa di cento grammi di infiorescenze secche per pianta: trenta tonnellate/ettaro di prodotto. È impossibile ricavare tre chilogrammi per metro quadrato di fiori essiccati: un’ottima resa può essere intorno ai due-trecento grammi al metro quadro, il che significa due- tremila chilogrammi di “cime” asciutte per ettaro (venti-cento chili di resina, a seconda della purezza e dei metodi di estrazione). Con una seminatrice di precisione, su un terreno perfettamente lavorato, concimato in modo organico, affinato e con un buon sgrondo delle acque, si potranno impiegare due-tre chili di semi di varietà da resina (che abbiano tempi di maturazione adatti al clima in cui vengono utilizzati): 100-150mila semi per ettaro, per avere, alla fine, 25-40mila piante (2,5-4 piante per metro quadrato).
La metà saranno maschi, che dovranno essere eliminati (a mano) prima che aprano i fiori e impollinino le femmine vicine, che così produrranno molti semi, ma molta meno resina; un buon 20% o più non nasceranno, o moriranno per varie cause prima di giungere a maturazione. Siccome quello che ci interessa è la resa in infiorescenze, proviamo a vedere i metodi tradizionali di semina per la produzione di seme. A Carmagnola, i canapicoltori riuscivano ad ottenere anche più di dieci quintali di granella di canapa per ettaro (le produzioni attuali in Europa difficilmente superano i cinque quintali/ettaro, grazie all’imposizione dell’uso di varietà a basso contenuto di THC, il principio attivo più famoso della cannabis, che rendono anche poco in fibra, semi e canapulo). A Carmagnola seminavano molta canapa da seme, ricercato in tutto il mondo come generatore della migliore qualità (da fibra) in assoluto e usato come genitore per le migliori varietà (da fibra e da canapulo) esistenti. Si seminava in doppia fila, con distanza fra le due file di circa 15 cm e ad una distanza di circa 60 cm fra le file doppie. A maturazione si potevano avere 4-6 piante femmine a metro quadro.
Se non coltivata per la granella, la resa maggiore della canapa era la fibra. La migliore qualità di fibra viene dalle piante maschio, che venivano raccolte a maturazione, insieme alla maggioranza delle femmine (in questo caso si investivano 30-40 chili di semente per ettaro, per avere cento piante a metro quadro, perché crescessero fitte e senza rami, per avere una fibra lunga, senza nodi e morbida). Solo poche femmine, fra le più belle e vigorose, venivano lasciate in campo per la produzione del seme per l’anno successivo (non si era ancora obbligati a comprare i semi, nemmeno di altre piante o erbe). Queste piante, isolate ed in pieno sole, diventavano enormi e producevano migliaia di semi cadauna, sufficienti per un campo per l’anno seguente.
I nostri nonni e bisnonni ben sapevano delle proprietà della canapa fumata: raccoglievano solo le infiorescenze superiori di queste piante lasciate per seme, le seccavano parzialmente, poi le pressavano insieme (in “blocchi” da 100-200 grammi) e le conciavano, come avrebbero fatto per il tabacco. Con questo procedimento il prodotto diventa più dolce (gli amidi si trasformano in zuccheri), rimane morbido e di più facile fumabilità. Non bisogna sbagliarsi soprattutto nel controllo dell’umidità, che se eccessiva può trasformare il tutto in compost, buono come terriccio, se scarsa non permetterà la concia.
La semina in pieno campo di varietà da resina è comunque ancora un sogno. E allora conviene, come accennato prima, realizzare “micropiantagioni” di due-quattro piante: difficili da individuare (anche dall’alto), di grosso impegno ma anche di grande resa: fino a 4-500 grammi (o anche più) per pianta, se seminate per tempo (marzo-aprile se si vogliono piante grandi, fino a luglio se si desiderano di piccola taglia) e nutrite a dovere.
Ricordate che alle nostre latitudini la massima produzione di resina si ha dopo l’equinozio d’autunno (21 settembre), fino verso la fine di ottobre.
Sarei lieto di rispondere e aprire un dibattito su qualunque quesito riguardante la canapa. Se interessati, scrivete a [email protected].
A presto.
Testo: Il Canapaio