CLUB DOGO – "Non siamo più quelli di Mi Fist" (recensione)
La pubblicazione del nuovo video dei Club Dogo, estratto dal brano “Sai zio”, ci offre il pretesto per riascoltare il disco e trarne qualche valutazione, a due mesi effettivi dalla sua uscita. Nel frattempo “Non siamo più quelli di Mi Fist” ha venduto più di 25’000 copie, certificandosi disco d’oro, e i suoi video raggiungono mediamente il milione di views, col clamoroso picco di “Fragili”, cliccato 6 milioni di volte. Insomma, un successo quanto meno numerico.
In una intervista di qualche mese fa, i Club Dogo spiegavano che “ogni nostro disco riflette un’epoca”, che per “Non siamo più quelli di Mi Fist” è quella di dischi piuttosto rapidi ed interscambiabili, che sollevano le maggiori attenzioni nei giorni strettamente connessi alla fatidica data; ma anche il risultato di venti lunghi anni di berlusconismo, di disimpegno mentale ed esasperante esibizionismo– retaggi di un mondo che ha fatto propria l’egemonia liberale e ha totalmente rivoltato le proprie priorità. E i Club Dogo più che riflettere quest’epoca, ne sembrano al contempo vittime e carnefici: “non posso aiutarti, sai che c’è, se ho 900’000 follower più di te”, sbotta Guè, che però riconosce pure che nel mondo ci siano belle tipe “che farebbero di tutto per dei follower in più” – dall’alto di produzioni artistiche che hanno spesso decantato lusso sfrenato e valori materiali, in una competizione vinta in partenza con chi non ha avuto talento e fortuna per raggiungerli – “per vivere alla grande ci vuole il grano, mica quei quattro soldi che fate col micro in mano”. Ad ogni modo, il lusso non ha solo accezioni positive, e “Soldi” ne è esempio lampante: il brano più americano di NSPQDMF lascia un retrogusto amaro, ma francamente poco convincente al pari dell’invettiva anti-kasta ed anti-politica di “Siamo nati qua”.
Stilisticamente Don Joe, Guè Pequeno e Jake la Furia ripropongono un quadro collaudato, pungolato da costanti novità: l’autotune ormai completamente sdoganato, un respiro internazionale che si riflette nel mixaggio innanzitutto, ma anche nel suono di Joe e nelle delivery di Guè e Jake, che hanno recepito e dato impronta propria alle declinazioni moderne del rap americano. La tracklist, piuttosto eterogenea, è chiaro emblema di ciò che i Club Dogo sono oggi: non è un caso che la canzone di “rivalsa” – la reazione che si attenderebbe da un titolo del genere – non ne è parte integrante, ma funge da epilogo. Al netto di questo brano, “Dieci anni fa”, una bomba al pari della stessa “Soldi” e di “Sayonara”, NSPQDMF scivola via tra pezzi della quotidianità cui ci hanno abituato, un po’ vuoti e spesso già sentiti, e tentativi coraggiosi come “Lisa” e la già citata “Siamo nati qua”, che non rifuggono affatto facili populismi.
Don Joe, abilmente coadiuvato da un pro della post-produzione come “Demo” Castellon, si conferma a standard elevati – seppure pare manchi una hit vera e propria, una di quelle per intenderci dei suoi allievi 2nd Roof nelle produzioni per Maruego. Guè e Jake hanno incamerato molto dell’hip hop americano degli ultimi anni, e il classic rap non vive nemmeno più tra le citazioni: in questo disco, Zucchero ed Eros Ramazzotti, mai la golden age rap. Insomma, ogni disco dei Club Dogo, nonostante le innovazioni evidenti ed una ricerca stilistica proficua, è spesso molto simile a come effettivamente ce lo aspetteremmo e “Non siamo più quelli di Mi Fist” non ci risparmia questa impietosa sensazione.
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