Clementino – Mea Culpa (recensione)
Che potesse essere un nome forte per il mainstream italiano era facilmente prevedibile, beninteso che questo risulti essere uno dei rarissimi casi in cui suonare popolari abbia molte più accezioni positive. Clementino era un auspicabile nome nuovo non perché abbia le stigmate del personaggio vendibile per un aspetto giovane e piacevole, ma per la palese abilità di fronteggiare la pressione di pubblici più ampi e, magari, perché nel piccolo schermo ha saputo anche destreggiarsi senza far vergognare alcuno dei fan/supporter hip hop (non solo per aver spillato 30’000 euro ad Amadeus…). Questo senza dover rimarcare ulteriormente le qualità e peculiarità delle sue delivery, e quel carisma da tipico master of ceremony non proprio diffusissimo in Italia.
“Mea Culpa” segna l’ingresso ufficiale di Clementino nel mondo Tempi Duri/Universal, verosimilmente il passepartout per il grande pubblico. Non tantissimi anni fa firmare per una major era l’augurio per chi spaccava nell’underground, affinché potesse godere di una più ampia visibilità: arrivarvi risultava ostico, impossibile se di base non vi fossero riconosciuti meriti artistici. Nel mondo rap di oggi la cosa sembra piuttosto inflazionata e nel merito della scelta le qualità musicali sono subordinate ad altri fattori ben più evidenti. Clementino si è fatto conoscere perché freestyle-fenomeno e non con video virali sul tubo; da giovane ha messo in mostra flow e incastri, non piercing e tatuaggi. È lì per l’indubbio talento artistico e anche per aver illuminato una personalità eminente, uno ultimamente non proprio avvezzo a collaborare con colleghi rapper, ovvero Fibra.
Inevitabile affrontare “Mea Culpa” come un disco di major, come un lavoro riferito ad una fetta di ascoltatori per forza di cose più ampia rispetto ai precedenti. A primo impatto è dunque apprezzabile che Clementino abbia sfruttato tale portata per convogliare l’attenzione su alcune tematiche un filino delicate, comunque mai intrise del facile populismo che si poteva tranquillamente riversare su un pubblico sì più largo, ma di sicuro meno scafato. La title track stessa, oppure Aquila Reale, Pianoforte a Vela e O’Vient (finora il brano più intenso mai scritto da Clementino) suonano come la spina dorsale di significato del disco, che via via sfuma in un turbine di liriche, suoni, sensazioni e approcci differenti. Dal ritrovato connubio-Rapstar in Questa volta, alla semideludente posse track con Noyz Narcos, Ntò, Marracash e Paura, passando per le collaborazioni con Jovanotti e Negrita, che appaiono poco più che rivisitazioni rap dei rispettivi L’ombelico del mondo e Rotolando verso sud, per chiudere alzando il tiro elettronico con la simpatica Che hit. Mai dimentico delle radici (Messaggeri del Vesuvio è il duplice tributo a Neffa e alla scena rap dalla quale proviene, quella partenopea) e di un certo tipo di suono, rappresentato appieno dall’incredibile estro di Big Joe, uno che in pochi mesi ha già creato un’impronta riconoscibile tra mille.
“Mea Culpa” è un disco che contempla ottimi rap e sound, con quel fulcro di brani di gran livello completati da alcuni buoni (Amsterdam e Senza Pensieri) ed altri più improntati all’easy listening, di cui un paio francamente skippabili. Clementino è un ragazzo di trenta anni con tre dischi in solitaria alle spalle: il bilancio finora è sicuramente positivo e il credito ragguagliato negli anni è fortemente meritato. Forse, però, manca a sua firma l’album memorabile, quello che in un futuro potrà entrare nell’olimpo dell’hip hop italiano, come magari è stato Turbe Giovanili, per citare un nome a lui vicino. Il talento, le qualità, l’attitudine, quelle ci sono tutte: ci auguriamo non debba decantare anche il suo mea culpa musicale, un giorno.
________________