Vi è mai capitato di entrare in un parco cittadino e imbattervi in cartelli con su scritto “divieto d’accesso ai cani”? Un segnale, tar i tanti, di come le città e i paesi non siano più, o quasi, dei luoghi per essere abitati da animali.
In un periodo storico in cui il “pet”, l’animale domestico, è diventato di moda, viviamo ambienti in cui è proibito condurlo nel luogo a lui più consono, lo spazio verde.
Tutto questo è un controsenso: perché un animale dovrebbe essere contento di girare legato a un guinzaglio ad annusarsi i gas di scarico delle macchine?
La verità è che a noi, questo non interessa. Il cane, o più in generale il pet, oggi è visto come un oggetto d’acquisto, un accessorio da aggiungere alla nostra vita indaffarata; il sistema città non ha fatto altro che adattarsi a questa visione.
Se guardiamo a come è pensata una città adesso, la sua smania di produttività è evidente. Tutto deve essere veloce, efficiente e con un giusto tocco di estetica. Un ammasso di strutture che inghiotte qualsiasi cosa per buttare fuori PIL. Non deve meravigliare, quindi, che il benessere degli animali passi totalmente in secondo piano, tanto più che la maggio parte delle persone non sono neanche consce delle loro reali necessità.
Del cane si è detto, ma il gatto non se la passa certo meglio. Uno degli animali più fieri ed eleganti che esistano, cacciatore sopraffino, costretto a rincorrere un pallino rosso sul pavimento, chiuso in casa per paura che scappi o che finisca sotto una macchina.
E gli uccelli? Tra l’inquinamento acustico, le varietà di piante ridotte all’osso sia come quantità che come biodiversità, i giardinieri che, per mantenere tutto in ordine, potano le siepi nella stagione di riproduzione distruggendo così migliaia di nidi, loro dimostrano un sforzo di sopravvivenza degno di nota.
Ultimamente, alla fauna urbana, si sono aggiunti i cinghiali. Ci siamo chiesti perché si avventurano tra i pericoli della città per potersi sfamare? Forse perché qualcuno si diverte ad alimentare senza alcuna cognizione di causa i selvatici? Forse perché se usciamo dalle nostre quattro mura ci accorgiamo che tutto l’ecosistema è squilibrato e quegli animali sono lì per un effetto a cascata che parte da molto prima?
Quando vedo un animale in giro, che sia un cane o una ghiandaia, mi domando sempre come se la stia passando. Mi chiedo cosa stia provando a essere costretto a vivere in un ambiente che non lo tiene minimamente in considerazione; un ambiente inquinato, frenetico, potenzialmente mortale. Quando mi capita di vedere un cane libero, un gatto che dorme sornione sul cornicione o un picchio in volata, mi emoziono. Riconosco in questi frangenti una resistenza passiva, ma vitale per andare avanti; piccoli attimi di luce che mi fanno sperare che ci possa essere ancora una soluzione, un’idea di mondo migliore. Animali che fanno gli animali e che, anche in città, possano esprimersi in quanto tali.
a cura di Andrea Fini
Laureato in Culture orientali. Educatore cinofilo e giardiniere. Appassionato di natura, animali e stili di vita alternativi