Chi non terrorizza si ammala di terrore
Ho citato nel titolo Fabrizio de André – quanto mai attuale, seppur datato – perché trovo vi siano tra ieri e oggi alcuni aspetti sui quali riflettere. Oggi a mettere in atto la strategia del terrore non sono più le Brigate Rosse o altri movimenti omologhi ma comunque nazionali, ma un “nemico” che viene da fuori e di cui non conosciamo la storia né le radici se non attraverso gli stereotipi a cui i mezzi di informazione ci permettono di accedere. Sono cambiati anche i confini: oggi la tanto anelata Europa si è materializzata nelle vesti di “nemico comune” per il Califfato, prima ancora che nel senso di appartenenza dei suoi abitanti, rimasti legati alle proprie identità nazionali, più che ad un apparato poco riconoscibile se non nelle regole finanziarie a cui ha omologato i sudditi che vivono all’interno dei suoi confini.
Mai avrei immaginato, come invece mi è successo, di attraversare tutta la Francia in macchina mentre Parigi era sotto attacco da parte di personaggi sulla cui storia vorrei suggerirvi qualche riflessione, partendo proprio da loro, che sono carne da macello. Quasi tutti gli attentatori provenivano dalla capitale europea, Bruxelles, ed erano immigrati di seconda o terza generazione con origini arabe. Vorrei capire perché gli ideali per i quali sono stati disposti a morire abbiano esercitato tutto questo fascino su di loro, le cui famiglie hanno trovato proprio nell’Europa – la stessa che i figli hanno colpito al cuore – un riscatto che cercavano quando sono emigrati dal proprio Paese d’origine. Il secondo aspetto su cui è fin troppo facile riflettere è la reazione, nei tempi e nei metodi che le polizie hanno adottato nei confronti dei nemici scovati all’interno dei propri confini e su quelli che ci han detto essere i Paesi da cui provengono le risorse che alimentano questo cancro globale che è l’ISIS.
Nel primo caso abbiamo assistito alla sospensione di alcuni diritti fondamentali in nome della sicurezza, col bene placito della popolazione che ha così potuto convincersi dell’efficienza del nostro apparato difensivo il quale ha orgogliosamente potuto mostrare i muscoli; ma chi è disposto a rinunciare ai propri diritti in nome della sicurezza perderà entrambi. Contemporaneamente abbiamo (Francia in testa, come successe in Libia con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti) scaricato qualche tonnellata di bombe in Siria, senza che ci sia stata mostrata un’immagine diversa da quella dei videogiochi e senza che ci sia stata fornita un’informazione differente da quella che la propaganda bellica, simile in ogni conflitto, ha fatto arrivare sugli schermi dei nostri device. Le conclusioni su quali saranno i reali risultati dell’operazione sono tutto sommato abbastanza facili.