Chi e cosa c’è dietro le proteste antigovernative a Cuba
Le proteste che hanno interessato le strade delle città cubane negli scorsi giorni sono più importanti di quanto sembri. Dopo quasi 70 anni di embargo imposto dagli Stati Uniti e una pandemia che ha influenzato pesantemente l’economia e il turismo isolani, il longevo Partito Comunista di Cuba si è dovuto scontrare con il crescente malcontento della popolazione, senza poter però contare, questa volta, sulla presenza di Fidel e Raul Castro, figure decisamente più carismatiche dell’attuale Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri, Miguel Diaz-Canel. Gli scontri hanno immediatamente attirato l’attenzione internazionale, e particolarmente di Joe Biden, vocale sostenitore dei manifestanti cubani, ma ancora apparentemente indeciso sul futuro delle restrizioni, attualmente in vigore, applicate al paese da Washington nel 1962, lasciando essenzialmente irrisolta la spinosa questione dei rapporti diplomatici tra gli USA e l’esecutivo di Havana.
“Sono scesa in strada perché sono stanca di avere fame” ha affermato Sara Naranjo, cittadina cubana, sulle sue pagine social, facendo eco a molti suoi connazionali, “Non ho acqua, non ho niente. Prima ti annoi, poi ti stanchi, stiamo impazzendo”. La situazione economica dell’isola non era così grave dalla caduta dell’URSS, e 11 milioni di cubani stanno scontando gli effetti non solo di una gestione inefficace dell’emergenza Covid, ma di un’inflazione al 500%, di una preoccupante scarsità di farmaci, e, soprattutto, della quasi totale assenza di servizi e prodotti fondamentali in diverse aree del paese, tra cui cibo ed energia elettrica, creando una situazione che il governo dell’isola non sembra, al momento, in grado di contenere. Il bilancio dei disordini scaturiti dal malcontento popolare, poi, conta al momento 1 morto e 100 “scomparsi”, dati che non migliorano la già precaria posizione dell’attuale esecutivo, che, dopo aver risposto ai primi scontri con lo schieramento di camionette blindate equipaggiate con fucili automatici, ha accusato apertamente sui propri mezzi social gli USA di essere i principali responsabili della crisi, avanzando, poi, l’ipotesi di possibili interferenze della CIA nelle proteste, continuando, però, a ignorare le richieste mosse dai manifestanti.
L’attuale crisi dell’isola apre effettivamente diversi interrogativi sulla futura posizione di Washington in relazione alle stringenti restrizioni economiche applicate a Cuba, che, in modo più o meno rigido, sono in vigore dal 1962. Nel 2014 l’esecutivo Obama aveva riaperto le negoziazioni con Havana e aveva disposto un allentamento delle misure di embargo, mentre il governo Trump aveva seguito la strada opposta, riapplicando con rigidità le misure allentate dal precedente POTUS. Biden sembra invece trovarsi nel mezzo, favorevole allo sviluppo cubano e vicino ai manifestanti, ma, per adesso, ancora ferreo nell’applicazione delle sanzioni economiche che da quasi 70 anni rallentano l’effettiva crescita di Cuba e di cui la maggior parte della comunità internazionale chiede l’abolizione.