Cannabis light

Certezze ed incertezze della cannabis light

Certezze ed incertezze della cannabis light
Un’infiorescenza della Cbweed

La regolamentazione della vendita di infiorescenze di cannabis entro il limite dello 0,6% di THC ha portato incredibili risultati in Italia. Nel nostro Paese, dove già dal 2013 si registra un regolare aumento annuo delle superfici coltivate a canapa, nel 2018 abbiamo superato ormai i 4 mila ettari destinati a questo vegetale.

Ho più volte trattato l’argomento della cosiddetta cannabis light, e ancora una volta sento la necessità di tornare sul tema per analizzare quei fenomeni, spesso ignorati, che si manifestano da quando è nato questo nuovo mercato. La confusione è quasi cessata: tutti, comprese le FF.OO., sanno che queste infiorescenze legali finiscono, per lo più, dentro a cartine!

Le infiorescenze, che attualmente sono il derivato più redditizio della canapa, in realtà non hanno alcuna utilità, se non quello di essere consumate a scopo “ricreativo”. Eppure si vendono ancora come “prodotto tecnico”. Persiste il divieto di consumare questo prodotto in luoghi pubblici; sembra per via della legge sui tabacchi. Mi chiedo allora cosa rischia chi viene beccato a fumare origano, o camomilla!? Inoltre è vietato aprire le confezioni, perché il prodotto potrebbe essere “sostituito” con cannabis illegale. In realtà potrebbe già contenerla; ma è impossibile controllare ogni singola confezione. A questo punto sarebbe più illogico dare ragione al popolo che in maggioranza chiede la legalizzazione. Intanto l’aumento della richiesta di semi certificati ha fatto lievitare il loro prezzo, e questo si ripercuoterà certamente sul costo dei derivati alimentari ed industriali di canapa made in Italy.

Perché usare delle sementi certificate destinate a produrre olio, farina, tessuti, mattoni, carta, plastica, ecc., per produrre fiori da fumare?

L’autorizzazione ad effettuare coltivazioni in indoor e in green-house, sta incidendo positivamente sul mercato delle sementi certificate, mantenendolo attivo durante tutto l’anno e non solo nei mesi di pre-semina (com’è stato sino all’anno scorso). La produzione dei semi certificati aumenterà, dato l’aumento della richiesta; ma anche per non penalizzare seriamente il mercato dei derivati alimentari, della fibra, e del canapulo. Peccato che la maggior parte delle aziende autorizzate a produrre semi destinati alla coltivazione non è italiana… per noi aumenteranno principalmente le spese.

Certezze ed incertezze della cannabis light
Una delle stanze di coltivazione indoor della Green Lab Italia

Vediamo inoltre qual è la più grande difficoltà riscontrata nel produrre infiorescenze di canapa da semi certificati, autorizzati per la coltivazione.
Tali semi derivano da piante con fenotipi spesso differenti, fecondate in pieno campo da polline che, trasportato dal vento, può viaggiare per chilometri. Potrebbe persino essere polline di specie diverse e, dunque, è impossibile ottenere un fiore omogeneo e standardizzato, anche all’interno della stessa coltivazione.

Purtroppo solo alcuni fenotipi di piante selezionate per dare semi e fibra presentano infiorescenze dall’aspetto ottimale e dall’aroma gradevole; ma non è concesso effettuare alcun lavoro di selezione. La circolare del 22 maggio scorso, che timidamente inizia a regolamentare la produzione di infiorescenze, esclude la riproduzione per via agamica di materiale destinato alla produzione per successiva commercializzazione di prodotti derivati dalla canapa. Questo limita sensibilmente la possibilità di produrre infiorescenze di alto livello che possano competere con le genetiche “svizzere” dall’aroma e dall’aspetto “perfetto”, e con limiti di THC entro i massimi previsti dalla legge, ma derivate da piante non registrate.
Certamente le ditte sementiere, autorizzate a riprodurre e vendere semi certificati, tra qualche anno venderanno semi di fenotipi selezionati per la produzione di infiorescenze, e forse anche femminilizzati. Mi chiedo perché il nostro Stato non debba invece regolamentare la selezione all’interno della aziende agricole che producono cannabis. La paura per tutti è sempre quella di ottenere, attraverso le selezioni, piante con livelli di THC che superano il limite di legge.

Purtroppo, in quest’Italia bigotta, le leggi continuano ad esser scritte da ignoranti che non hanno la giusta curiosità nei confronti del tema che pretendono di voler regolamentare; per questo la soluzione del problema diventa impossibile.

Immaginiamo, per un attimo, di vivere in un Paese che permette la libera coltivazione della cannabis; come lo è quella del peperoncino. Quando coltivo al fine di produrre buone infiorescenze di cannabis, parto da semi di genetiche specifiche, per esempio una Lemon Haze, o una Kompolti. Tra le femmine più belle scelgo quelle che presentano l’aspetto migliore per farne delle “madri”. Prima di lavorare su piante di cui non ho mai assaggiato il fiore, faccio un TEST QUALITATIVO prelevando una talea da ognuna di esse, e mandandola in fioritura. Solo dopo aver ottenuto ed esaminato il fiore, decido quale pianta tenere per produrre cloni.
Se i nostri politici autorizzassero questo tipo di lavoro, imponendo al produttore il solo obbligo di effettuare un TEST QUALITATIVO che certifichi il contenuto di cannabinoidi presenti nelle piante coltivate, il problema sarebbe risolto. Le piante non idonee non potrebbero essere riprodotte. I produttori sarebbero felici di prendersi la responsabilità amministrativa, anche perché le infiorescenze legali di cannabis hanno ormai un valore medio all’ingrosso 3€ al grammo (3.000€ al Kg), e non ha senso rischiare nella produzione di cannabis illegale. Quella continua ad essere “monopolio” delle Mafie, che pregano che non si legalizzi mai.

Permettere la riproduzione in aziende autorizzate è decisamente più sicuro dell’autorizzare la coltivazione di semi derivati da piante cresciute in Paesi con climi totalmente differenti dai nostri. I valori di THC che i produttori certificano derivano da analisi fatte su piante in campi industriali, nei quali maschi e femmine crescono assieme.

In Italia stiamo effettuando coltivazioni di sole femmine, al fine di ottenere infiorescenze senza semi. Inoltre il clima mediterraneo migliora gli aroma. Tutto ciò porta all’incremento della produzione di terpeni e di cannabinoidi.
In Sicilia ho visto Futura 75 con semi che, dopo un anno, aveva ancora il 3% di CBD; e le varietà ad alto contenuto di THC risultano sempre più “forti” di quelle prodotte in outdoor nel resto d’Italia.

I nostri Politici, attraverso una regolamentazione incompleta e spesso insensata, hanno messo a rischio centinaia di aziende: se i livelli di THC delle infiorescenze che stiamo producendo dovessero sforare lo 0,6%, si registreranno perdite per centinaia di migliaia di euro. Stavolta nessuno rischia di finire in galera, ma tutti rischiano di perdere i soldi ed il lavoro investiti nella produzione di qualcosa che i consumatori chiedono.

Ma cosa accadrebbe autorizzando la selezione e la riproduzione anche per talea, di varietà destinate alla produzione di infiorescenze? Certamente le aziende italiane specializzate otterrebbero una notevole diminuzione dei costi: una volta ottenuta la qualità desiderata non dovrebbero più comprare semi, non avrebbero più bisogno di “smaschiare”, di selezionare, ecc.
Migliorerebbe la qualità: potremmo arrivare ad ottenere un prodotto standardizzato, che abbia i medesimi contenuti di cannabinoidi, raccolto dopo raccolto. Le genetiche selezionate e standardizzate dalle singole aziende, potrebbero divenire eccellenze come lo sono alcune varietà di uva, da cui si producono vini unici.
Sono state standardizzate le varietà mediche e, dov’è legale, lo sono quelle a scopo ricreativo: esistono ormai oltre 1.400 varietà genetiche registrate, che si distinguono in base alla “prevalenza” (Indica o Sativa), al contenuto dei principali cannabinoidi (THC – CBD – ecc.), al contenuto di terpeni (gli odori prodotti dalle infiorescenze sono tipici per ogni genetica). Di molte genetiche si conosce anche la resa in peso e i tempi di maturazione. Certi ragionamenti, per molti utopici, sono il semplice frutto dell’osservazione.

Spero che i nuovi governanti abbiano voglia di aprire gli occhi e magari decidano di affidarsi (una volta tanto) a noi grower professionisti, consumatori responsabili e a chi, da sempre, si occupa di cannabis.

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