C'era una volta il web. O forse c'è sempre stato.
C’era una volta un mondo senza internet. Chi ha meno di 19-20 anni probabilmente non sa nemmeno di che sto parlando.
Poi tutto cambiò.
Tutto il mondo ne ha guadagnato, sia in termini individuali che in termini di sviluppo e diffusione
di movimenti culturali. Io conobbi l’hip hop in una calda estate del ‘93 su un campetto di basket. Molti ragazzi hanno conosciuto l’hip hop proprio grazie ad internet. Differenti generazioni, differenti mezzi.
Ricordo ancora i primi approcci al web, alle chat. Ho ancora chiaro in mente quella volta che un mio amico mi raccontò che, su uno di quei chat server di 13-14 anni fa circa, a certe ore della notte (manco fosse Bloody Mary o una manifestazione spiritica), potevi incontrare on line nientepopodimeno che Kaos, sotto il nickname di Miyamoto. “Miyamoto come Musashi Miyamoto, il leggendario ronin?!?” chiesi io. “Certo, proprio lui!” mi confermò. Non ho mai saputo se questa cosa fosse vera o meno, ma era già mito. Così, un po’ per gioco, un po’ per il piacere di poter scambiare due parole con il bravo Marco Fiorito, si sperava di poterlo incontrare on line, aumentando a dismisura quell’aura un po’ mistica che Kaos già in parte aveva al tempo.
Oggi però il gioco si è trasformato in necessità. I siti web, youtube, così come le pagine myspace prima, twitter e facebook oggi, i vari soundcloud ecc. sono diventati il must have per qualunque band o artista che intenda procedere nel mondo della musica. Le fanzine degli anni 90 sono diventate webzine, molto più semplici da realizzare ed economiche e i mezzi (così come le forme) sono aumentati. Certamente sono vetrine preziose, e comunque un facile mezzo di comunicazione per chi ha voglia di far sentire la propria musica al mondo.
Prendete Salmo. Un nome praticamente sconosciuto alla scena hip hop italiana se non per certi frequentatori dell’ambiente hardcore. Ha caricato un po’ di pezzi potenti su youtube con i suoi (ottimi) video, li ha condivisi su facebook e nel giro di breve tempo il tam tam era scattato, generando migliaia di contatti e facendo conoscere il suo nome a tutto lo stivale. Esempio perfetto di talento messo a frutto mediante l’impiego del web.
Standing ovation quindi per questo internet che permette tali mirabolanti imprese.
Peccato che c’è sempre il lato opposto della medaglia, della serie, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
Molto dei siti web che trattano di hip hop (più o meno amatorialmente), si sono trasformati in community, basate per lo più sui forum, dove – molto democraticamente – chiunque può esprimere la propria opinione su qualunque tema. Indipendentemente che ne capisca o meno (e questo non è valutabile), o che abbia davvero ascoltato o meno il brano/disco/artista in questione (questo, invece, valutabilissimo). Ho parlato con gente che era convinta che i bravi Broken Speakers (che saluto!) fossero una versione alternativa dei Truce Klan di Noyz e compari e che nelle loro canzoni parlassero più o meno tutti delle stesse cose…”tanto sono tutti romani”. Mi dite che questa si chiama ignoranza? Beh, innegabile, ma per me si tratta principalmente di disinformazione. Il materiale che esce dalla fabbrica dell’hip hop italiano è tantissimo. Difficile ascoltare tutto. Di fatto, talvolta anche in buona fede, c’è chi si fida quasi ciecamente di quello che viene riportato sul web o sui social network. Un “Bar Sport” globale dove chiacchierare come vecchie parrucchiere dei cazzi di tutti. Basta una parola idiota detta da un idiota con molti amici su facebook e può succedere di tutto. Come Fabri Fibra che è morto e risorto più volte di Lazzaro e Gesù Cristo.
Credete poi che quei numeri che vediamo scritti sotto i video di youtube o sotto i profili facebook degli artisti siano forieri di verità assolute? Sono un oggettivo indicatore di popolarità, uno strumento validissimo di misurazione della diffusione di un brano o di un video. Ma attenzione, miei giovani Jedi, popolarità non è sinomino di bravura e non tutti sono fenomeni come Guè Pequeno o il Danno. Quel poveraccio di Truce Baldazzi (dai 4 sganassate con lui ce le siamo fatte tutti) è popolare. Indubbiamente. Oltre non continuo.
Ho avuto modo, nella mia lunga esperienza di rapper e di redattore, di conoscere tantissimi rappers, in tutta Italia. Conosco mc’s fortissimi che passano le loro giornate a lavoro o chiusi in studio a produrre, e solo perché non hanno tempo di stare tutto il giorno a scrivere cagate su facebook, contano pochi click, di certo molti meno di quelli che meriterebbero. Allo stesso modo conosco rapper mediocri che saltano tutti gli esami e le lezioni all’università e quindi hanno un sacco di tempo libero, e possono quindi inebetirsi (e inebetire) ad oltranza coinvolgendo chiunque gli capiti a tiro. Risultato? Decine se non centinaia di “mi piace” e quindi di click. Di certo questa è un’estremizzazione, e come tale non rappresenta la media, ma è un aspetto che esiste e che deve essere tenuto in conto.
E’ fantastico poter diffondere la propria musica sul web o il proprio pensiero. In parte ha contribuito alla salvezza dell’hiphop, dopo quella crisi del 2000-2003. Non c’è niente di sbagliato nel condividere le proprie opinioni, è una cosa meravigliosa avere la libertà di potersi esprimere come si vuole.
A questo punto, come in un buon tema che si rispetti, uno dovrebbe giungere alla conclusioni.
La conclusione è che non c’è niente da dire (“se non hai capito già” cit. Piotta). Bisogna solo “usare il cervello” e non pensare neanche per un momento che sia falso moralismo del cazzo.
Distinguere, con il libero giudizio, cosa sembra reale dal fake e approfondire.
E se avete qualcosa da dimostrare al mondo, perché avete un dito al culo che non vi fa dormire la notte, allenatevi e fatelo su un palco, quando sarà il momento opportuno. Vi garantisco che è molto, molto, molto più divertente.
Scusate ora vado ad aggiornare il mio profilo su Facebook.
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Giovanni “Zethone”