Terapeutica

CBD oil in Europa: su 14 analizzati 9 non hanno la percentuale indicata

CBD oil in Europa: su 14 analizzati 9 non hanno la percentuale indicata

Uno studio scientifico ha analizzato 14 oli al CBD delle tipologie più rappresentative in ambito europeo, con lo scopo preliminare di determinare e approfondire i criteri base di qualità di qualsiasi preparazione oleosa. Mentre all’OMS è in corso la discussione se inserire o meno il CBD nella lista delle sostanze controllate e considerarlo come farmaco e in Europa pendono i processi di registrazione come novel food, ad oggi il CBD, in Italia e in Europa, non è normato, a parte in Gran Bretagna, dove dal 2016 è considerato come un principio farmacologico e quindi non vendibile liberamente.

È questo il punto di partenza di un gruppo di ricercatori che, guidati dalla dottoressa Sara Panseri del dipartimento Vespa-CRC-Gesdimont dell’Università degli Studi di Milano, hanno concluso la fase uno di un importante lavoro di analisi che è stato pubblicato su Molecules, in un momento in cui questi prodotti sono sempre più diffusi. «Il fatto di aver qualcosa di fruibile e senza ricetta medica», spiega la dottoressa Sara Panseri a cannabisterapeutica.info, «rende l’utilizzo molto più agevole, svincolando dal farmaco per cui è appunto necessaria una prescrizione medica. Stessa logica del farmaco da banco come l’integratore: sono molto più propensa nel momento in cui non ho ostacoli nell’approccio».

La ricercatrice sottolinea che: «La fruibilità maggiore di questi preparati è per scopi salutistici, chiamiamoli così, e quindi si tratta di persone che usano questi preparati perché riconoscono nel CBD qualcosa di curativo. La prima preoccupazione è dunque quella di chiedersi: questi prodotti, dal punto di vista della garanzia di qualità, come sono?».

La risposta è arrivata con lo studio realizzato: «Innanzitutto rispetto al titolo (la percentuale di CBD, ndr) che viene dichiarato in etichetta, che dovrebbe essere proprio la base, l’indicazione è invece risultata molto difforme: su 14 analizzati, 9 non avevano il titolo riportato. Oltretutto, in base ai metodi di preparazione, il formulato finale ha dei criteri diversi. Ad esempio per quanto riguarda la componente dei terpeni». Gli esami sono stati comparati con un olio di preparazione galenica ottenuto da una varietà registrata ad alto valore di CBD che è il Bedrolite, che nello studio è la matrice di riferimento.

Nelle conclusioni gli autori scrivono che: “Presi insieme, i risultati presentati in questo studio indicano la pronunciata variabilità delle concentrazioni di CBD nelle preparazioni di olio di CBD commercializzate. Le differenze riscontrate nei profili generali dei cannabinoidi accompagnate da discrepanze rivelate per l’impronta digitale dei terpeni giustificano la necessità di fornire una regolamentazione e un controllo più severi. Informazioni precise sulla composizione dell’olio del CBD sono fondamentali per i consumatori, poiché le dosi individuali durante il periodo di somministrazione devono essere adattate in base alla biodisponibilità del CBD”.

E’ un lavoro preliminare al quale “ne seguirà un altro che andrà ad affrontare aspetti molto più importanti: nel momento in cui sono volte a pazienti pediatrici, hanno una rilevanza maggiore, innanzitutto per la sicurezza di impiego. Il semplice antiossidante che ad esempio viene utilizzato per preservare la stabilità, visto che sono formulazioni oleose, se è di tipo sintetico, può rappresentare un problema per il bambino in ambito di valutazione di risk assessment definite da OMS ed EFSA. Tante volte le schede tecniche non sono esaustive, e il mezzo di sospensione che viene utilizzato in questi prodotti è differente: a volte è olio d’oliva, a volte di canapa, non dimenticando che anche la componente lipidica inizia ad avere una sua importanza per il bambino. Andremo quindi ad analizzare tutti gli aspetti di sicurezza: residui di pesticidi, metalli pesanti, micotossine, presenza di residui da packaging che sono documentati comportarsi come molecole dall’effeto di interferenti endrocrini”.

Riguardo la degradazione?
Sono prodotti che si degradano durante lo stoccaggio: nell’ossidazione gioca un ruolo preponderante il mezzo lipidico utilizzato: con un olio d’oliva è un discorso, se ne uso uno non rettificato un altro e se uso l’olio di canapa, ricchissimo di insaturi che irrancidiscono, un altro ancora. La fase due sarà dedicata a studiarli in shelf life (il tempo di conservazione in scaffale, ndr), come si usa dire. Se ho indicato 6 mesi a temperatura ambiente, significa che la preparazione probabilmente contiene antiossidanti che devono quindi essere di conseguenza dichiarati in etichetta.
Dal nostro lavoro su estratti oleosi di Bedrocan e Bediol (pubblicato sul Journal of Pharmaceutical and Biomedical Analysis, ndr) in sei settimane in cui l’abbiamo eseguito, utilizzando diverse metodiche di preparazione galenica, abbiamo osservato una degradazione dei cannabinoidi di circa il 40%, oltre allo sviluppo di composti di ossidazione.

All’Onu si è discusso se inserire o meno il CBD nelle tabelle delle sostanze controllate, ed in Europa pende la registrazione come novel food, da ricercatrice come la vede?
Una soluzione che peraltro è gia in fase di discussione sarebbe modellare questi preparati a classe di concentrazione, cioè andare a definire dei cut off, per cui a basse concentrazioni può essere definito un integratore alimentare o un novel food, a concentrazioni elevate (es. sopra il 10%) considerare quella molecola veicolata da estratti o altro, come un farmaco. Dalle informazioni che abbiamo oggi sarebbe solo buon senso.

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Bisogna veicolare l’attenzione nello stimolare la ricerca a fronte della sicurezza d’uso dei prodotti che utilizziamo a livello salutistico e a seguire le linee guida di riferimento nazionale in ambito medico perché ci vuole attenzione. Ci vuole cautela nell’approcciare le cose man mano che si profilano le evidenze scientifiche, gli approcci clinici ed i relativi follow up.

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