Carta straccia: l’altissimo costo ambientale della stampa periodica
In Italia esistono oltre un centinaio di pubblicazioni periodiche, divise fra bimestrali, mensili e settimanali e aventi per oggetto le tematiche più svariate. Gli argomenti trattati sono estremamente differenti fra loro (e sempre più specifici), spaziando dalla moda alle auto, dai viaggi all’arredamento, dalle bambole ai gattini, dalla cucina a pettegolezzi e avanti così.
Ma esiste una cosa che tutte le riviste in questione hanno in comune: l’assoluta insostenibilità dal punto di vista ambientale dell’intera filiera attraverso la quale vengono prodotte, distribuite e, qualora invendute, mandate al macero.
Questo enorme spreco si consuma sotto ai nostri occhi e dopo aver letto questo articolo, passando distrattamente davanti a una edicola, non guarderete più a una qualsivoglia pubblicazione allo stesso modo.
Le industrie italiane importano mediamente 25.500 tonnellate l’anno di cellulosa ottenuta attraverso l’abbattimento di foreste secolari, per consentire una produzione di carta che nonostante l’avvento del digitale e la crisi dell’editoria sta continuando a crescere. A livello mondiale il consumo di carta ammonta a circa 300 milioni di tonnellate annue, facendo sì che oltre un terzo di tutti gli alberi abbattuti ogni anno sul pianeta sia tagliato per produrre carta. Procedendo con questo ritmo ben presto verranno messi a repentaglio gli equilibri dell’intero ecosistema di cui le foreste sono un elemento fondamentale, nel preservare la biodiversità, nel purificare l’aria, nel prevenire l’erosione dei suoli, nel preservare le grandi riserve di acqua dolce.
Le pubblicazioni periodiche in Italia vengono vendute tramite i canali distributivi previsti dalla legge, edicole e punti vendita autorizzati o tramite abbonamento. Le copie invendute vengono indirizzate direttamente al macero e smaltite alla stessa stregua di un rifiuto cartaceo, dopo avere eliminato eventuali confezioni plastificate.
Stando ai dati diffusi da Accertamento Diffusione Stampa (ADS), la società che certifica e divulga i dati relativi alla tiratura e alla diffusione e/o distribuzione della stampa di qualunque specie pubblicata in Italia, nel mese di dicembre 2018 le pubblicazioni periodiche presenti nel nostro Paese hanno avuto una tiratura di 14.941.310 copie (8.834.947 i settimanali, 6.106.363 i mensili), 1.588.927 delle quali (circa il 10% della tiratura) vendute tramite abbonamento, mentre le copie rese in quanto invendute attraverso i canali tradizionali ammontano a 5.702.346 (3.407.940 i settimanali, 2.294.409 i mensili).
Il che significa come oltre un terzo delle copie prodotte, al costo degli impatti ambientali a cui facevamo riferimento in precedenza, si sia trasformato in rifiuti destinati a prendere la via della discarica o dell’inceneritore, determinando in questo modo ulteriori impatti ambientali per ottenere il loro smaltimento.
In parole povere si distruggono intere foreste per ottenere la cellulosa attraverso la quale produrre la “carta patinata” necessaria per stampare decine di milioni di riviste, molte delle quali resteranno invendute e si trasformeranno in rifiuti da smaltire.
La percentuale di resi cambia enormemente da rivista a rivista in maniera inversamente proporzionale al numero di copie stampate: ad esempio, una testata indipendente come la nostra, stamperà ovviamente molte meno copie da indirizzare alle edicole rispetto a quelle di un grande gruppo editoriale che può garantirsi, sostenendone gli alti costi, una presenza capillare nella Penisola a vantaggio di una maggiore visibilità e reperibilità che, in teoria, si rispecchierà nelle vendite (ma anche nel numero di copie “sacrificabili”).
Motivo per cui abbiamo sempre prediletto la diffusione di Dolce Vita attraverso i nostri punti di distribuzione diretti (negozi di settore, centri sociali e culturali, associazioni e comuni), abbonamenti ed eventi: così facendo siamo sempre riusciti ad evitare del tutto il problema dei resi e i conseguenti sprechi. Ed ecco perché, dopo anni di distribuzione anche in edicola, abbiamo ora deciso di interrompere questo canale (N.d.r. – A breve ulteriori approfondimenti a riguardo).
Per le testate indipendenti vendere un terzo di quanto destinato alle edicole è già un enorme successo. Ciò significa che lo spreco da mettere in conto è pari a due terzi del totale. Non occorre l’ausilio di molta fantasia per comprendere come un sistema di questo genere rappresenti un cortocircuito logico e dal punto di vista ambientale risulti assolutamente insostenibile.
L’intera filiera della carta stampata va senza dubbio ripensata in profondità, sia per quanto concerne i materiali utilizzati, privilegiando quando possibile la carta riciclata (sebbene abbia un costo maggiore) e rendendo riciclabili le pubblicazioni, sia per quanto riguarda la quantità delle copie stampate, privilegiando il supporto digitale e incentivando le formule di abbonamento, ed eliminando l’enorme sproporzione fra le copie tirate e quelle realmente vendute per mezzo dei canali distributivi attraverso l’aiuto delle nuove tecnologie. Ad esempio, un sistema informatizzato a livello nazionale e locale, molto meglio di quanto sia allo stato attuale, potrebbe aiutare a migliorare la distribuzione nelle edicole in base alla reale richiesta, ottimizzando il sistema e riducendo gli sprechi nell’ottica di una ecologia dell’ecosistema che oggi non è più rimandabile.
Riconoscere la sovrapproduzione come un problema concreto della nostra contemporaneità e risolverlo attraverso la tecnologia o scegliendo strade alternative è una forma di attivismo: un’azione concreta che, a partire da una semplice rivista, può cambiare in senso positivo il mondo.
Erich Schmidt, ex CEO di Google, una volta parlando del calo delle vendite della carta stampata ha detto: «Non c’è un problema di domanda del prodotto, le news. Le persone amano le news. Amano leggerle, parlarne, arricchirle, annotarsele. C’è invece un problema con il costo di un giornale: la stampa fisica, la distribuzione e via dicendo. È così che il modello di business è rimasto schiacciato». Ma è anche così, soprattutto, che ci stiamo giocando il nostro futuro sul pianeta.
Solamente attraverso una rivoluzione radicale dell’intero sistema, il mondo dell’editoria potrà aspirare a vivere in sintonia con la biosfera come sarebbe logico che fosse, perché non può esistere cultura laddove non esiste rispetto per l’ambiente e il pianeta terra che è la nostra casa.