Dietro i cancelli degli altri
Una rapida visione d’insieme su alcuni aspetti dei sistemi penitenziari degli altri Stati, alcune volte più civili altre meno
Ho scritto e parlato così tanto delle patrie galere e delle indegne condizioni, ormai alla ribalta di tutte le cronache, che ho deciso di fare una panoramica, rapida e superficiale, delle prigioni degli “altri”.
Non mi addentrerò nel sistema giudiziario di altri Stati, andrebbe studiato e non parlerò di tutti i Paesi, ma solo di alcuni aspetti a volte più civili rispetto all’Italia altre decisamente tragici.
In Spagna, ad esempio è possibile, non per tutti i reati naturalmente, pagare una cauzione e restar fuori di galera sino alla definizione della sentenza. Il sistema penitenziario dei nostri “cugini” iberici ha sancito il diritto al “vis a vis”, cioè il diritto agli incontri intimi. Un argomento che riferito al nostro Paese ho già trattato, sostenendo che il divieto è – oltre che incivile – un modo per erodere l’entroterra affettivo dei detenuti e disgregare le famiglie, ed ha un retaggio che affonda le radici nell’inquisizione dove le fantasiose torture che precedevano gli interrogatori avevano spesso una correlazione con i “genitali”, sia maschili che femminili. Giovannino Guareschi definì, durante il suo periodo di detenzione, la moglie come “vedova di Stato”. In Spagna gli incontri intimi sono possibili anche con le prostitute, ammesso che uno abbia i soldi per pagarsele.
Il diritto alla sessualità in Europa è garantito anche in Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Finlandia, Norvegia, Olanda, Svezia e Svizzera.
Allargando l’orizzonte, anche in Kenya pare sia garantito il diritto alla sessualità ma non significa che sia sempre consenziente. A Mutangani per esempio, la prigione di Malindi, dove i servizi igienici sono un buco nel pavimento in mezzo ad una stanza e servono decine di detenuti, si dice che chi entri uomo abbia una buona percentuale di possibilità di uscirne donna. Credo non serva essere maggiormente espliciti.
Attraversando l’oceano e puntando lo sguardo in Sudamerica posso dirvi che lì, se non hai soldi, non hai diritto nemmeno al materasso per coricarti e qualche volta devi dormire in piedi, appoggiato al muro, se invece hai disponibilità cambia tutto.
A Bogotà ci sono due istituti penitenziari, La Modelo che contiene circa 11mila detenuti e La Picota che ne ospita 4mila.
La Modelo è dedicata principalmente ai crimini “politici”, se così si può dire, ed è un luogo decisamente poco raccomandabile per la violenza che ne governa le dinamiche interne.
Nell’ala nord del penitenziario sono detenuti i ribelli di sinistra, nell’ala sud quelli di destra; l’area intermedia è un campo di battaglia, è lì che si organizzano gli scontri. Le guardie all’interno non hanno armi, ma i detenuti sì – tutte quelle che vogliono – persino delle granate (non chiedetemi dove se le procurano). Ed è inutile che vi dica cosa produce una situazione del genere. Le uniche guardie armate sono quelle sulle torri di guardia, che sono blindate e che sparano ai detenuti dalle feritoie.
I membri delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), ad esempio, continuano ad esercitarsi anche durante la loro detenzione.
Nella prigione c’è più di un ristorante, uno dei quali sponsorizzato (nel vero senso della parola) dalle FARC stesse, i cui membri possono mangiare gratis.
La Picota invece è la prigione dei narcos, lì se hai soldi l’unica cosa che non puoi fare è uscire, ma tutto il resto non ti manca compreso il cellulare, la droga, l’alcool, le prostitute e tutto il circo equestre che potete immaginare. Ovviamente questi diritti non sono sanciti per legge e se io mi trovassi in Colombia, avrei evitato di scriverlo… o almeno di firmare l’articolo con il mio nome.