Cannasì, cannano
Nel rispetto per la miglior tradizione italiana che ci vuole più capaci di arrangiarci che di organizzarci siamo diventati quasi tutti esperti conoscitori della pianta più famosa al mondo. L’ago delle nostre competenze si deve ora dividere tra la tentazione di proporci commissari della nazionale di calcio, presidenti del Consiglio o consulenti sulla cannabis legale.
Ovviamente ho esagerato, ma giusto per darvi uno scorcio della situazione che ho potuto toccare con mano, essendo anch’io sul mercato con una delle aziende del settore.
Pare davvero che l’entusiasmo abbia contagiato tutti: parlando con gli operatori del settore e con i nuovi distributori finali ci si rende conto di cosa stia muovendo, sia in termini economici che sociali, la stessa pianta per la quale prima si finiva in galera e che ora già sposta delle considerevoli somme di denaro, parte delle quali vengono introitate dallo Stato sotto forma di tributi.
Come per altri settori, ricordo per esperienza personale quello dell’emittenza radiofonica privata ai cui albori ero presente, vi sono zone grigie della legge che si prestano a interpretazioni e credo serva ancora un periodo di “rodaggio fisiologico” con relativi “aggiustamenti di rotta”. La mia personale opinione è che la strada sia ormai quella che va verso una regolamentazione del settore, piuttosto che rispedire il tutto nel buio di un’illegalità che giova solo alle organizzazioni criminali.
Mi piacerebbe che in un futuro non lontano venissero impiegati anche i carcerati in una delle parti della filiera. Sarebbe una forma di riscatto: sia per una pianta che fino agli anni 50 costituiva motivo d’orgoglio nazionale per l’eccellenza qualitativa che in Italia si riusciva ad ottenere, sia per chi ha passato guai giudiziari a causa dell’ostracismo messo in campo dalle multinazionali che avevano tutto l’interesse a mettere al bando una pianta le cui potenzialità economiche e industriali sono davvero ancora lontane dall’essere sfruttate per il beneficio dei più.