Cannabusiness in Italia: facciamo il punto
In tutto il mondo è in atto una rivoluzione con al centro la pianta più bistrattata della storia, che sta diventando anche quella più remunerativa, in diversi settori. Le attenzioni per la cannabis e i suoi derivati sono altissime e non sono poche le multinazionali che hanno annusato il business e preparano strategie e investimenti. Anche le big company dell’alcol, che avevano speso milioni di euro nelle campagne per scongiurare la legalizzazione Usa, si sono dovute arrendere e iniziano a diversificare il proprio business e investire nella pianta delle meraviglie.
La situazione odierna dice che il 90% della cannabis legale al mondo viene venduta negli Stati Uniti, ma sono dati antecedenti alla legalizzazione canadese, che cambierà le carte in tavola. Nel primo paese del G7 ad aver legalizzato la cannabis ricreativa, la pianta è stata presa sul serio e si stanno facendo passi avanti enormi in tutti i settori, compresi quello medico e industriale.
Legalizzare la cannabis significa quindi creare posti di lavoro e anche tanti. Entro il 2022 l’industria della cannabis dovrebbe garantire fino a 340mila posti di lavoro a tempo pieno, con una crescita del 21% circa ogni anno. In confronto, l’intero settore sanitario americano dovrebbe crescere del 2% all’anno fino al 2022. Il solo mercato californiano potrebbe arrivare a 4/5 miliardi di dollari l’anno di vendite nel settore ricreativo, una cifra maggiore delle vendite di tutti i mercati ricreativi americani combinati nel 2017. Per dare un’idea del fenomeno, secondo il sito di lavoro ZipRecruiter.com, le offerte di lavoro di marijuana sono aumentate del 693% in un solo anno, dall’ultimo trimestre del 2016 fino all’ultimo trimestre del 2017. E per capire ancora meglio il fascino di questa industria, dopo che una società di Toronto ha pubblicato un annuncio alla ricerca di “Cannabis connoisseur”, figure simili a dei sommelier della marijuana, sono arrivate oltre 20mila candidature in pochi giorni.
Gli altri vantaggi economici sono rappresentati dal fatto che gli enormi profitti che prima finivano nelle mani della criminalità organizzata, oggi finiscono allo stato sotto forma di tasse e licenze, e ai cittadini che si organizzano lanciandosi sul mercato. Ma anche dove la cannabis non è stata completamente legalizzata, si stanno facendo dei grandi passi avanti. Anche in Italia, dove il settore medico e industriale sono oramai normati e stanno iniziando ad attirare gli interessi di investitori a livello nazionale e internazionale.
Nel settore della canapa industriale, bisogna partire dalla legge di filiera approvata a fine 2016 che ha dato certezze ai produttori che volevano investire nel settore. Rimane aperto il discorso sulla cannabis light, con diversi aspetti da chiarire che vanno dall’utilizzo delle talee (oggi vietate) alle genetiche, passando per il fatto che il prodotto è venduto come articolo tecnico. L’auspicio è che si faccia chiarezza al più presto in modo da poter competere ad armi pari con la vicina Svizzera e sdoganare il fenomeno una volta per tutte. Il settore industriale è poi sempre in attesa che vengano decise le soglie di THC che possono essere presenti nei prodotti alimentari, e di recente è stata presentata un bozza del provvedimento.
A livello di filiere quelle più sviluppate sono quelle della canapa alimentare, della bioedilizia, della cosmetica, della cannabis light e dell’estrazione di CBD. Ci sono ormai numerose aziende che coltivano cannabis da seme per ottenerne olio e farina dal residuo della spremitura. L’olio spremuto a freddo, oltre che nel settore food, dove si sta guadagnando spazi sempre più ampi per le sue proprietà nutritive, è lo stesso che viene usato come base di molti prodotti cosmetici, insieme agli oli essenziali e ai terpeni. Così come ormai sono
presenti diverse aziende che propongono la bioedilizia in canapa e calce, con diversi sistemi costruttivi, come alternativa all’edilizia tradizionale.
Ad oggi quello che manca del tutto è una filiera produttiva per la canapa tessile, che necessiterebbe di investimenti per modernizzare la lavorazione e processi come la stigliatura e la macerazione. Attualmente c’è un’azienda che sta sviluppando un macchinario per stigliare la canapa, mentre sono in atto dei progetti tra Italia e Austria per ripristinare una filiera tessile locale. Intanto ci sono le prime aziende che rifornendosi di canapa tessile dall’Europa dell’est o dalla Cina, stanno attivando delle produzioni artigianali. Stesso discorso per la carta: non abbiamo una produzione standardizzata ma solo produzioni artigianali come quelle di Canapa Cruda o di Sandro Tiberi, che sta attivando un progetto nel comune di Fabriano per ricominciare a produrre cellulosa con la canapa italiana.
Anche dal punto di vista dei biocobustibili è tutto fermo, mentre ad esempio in Polonia è partito un progetto governativo per creare bioediesel ed etanolo ricavati dalla canapa. Siamo scoperti anche per quanto riguarda la produzione di bioplastica, con l’unica eccezione della siciliana Kanèsis, che produce filamenti per la stampa 3D recuperando scarti di diverse colture, canapa in primis. E mentre il settore della cannabis light ha visto un enorme boom, con la nascita di decine di aziende, stanno nascendo anche altri business che si occupano di lavori per contro terzi, come strutture pressurizzate per la produzione o l’essiccazione di canapa, servizi di trimming e impacchettamento, di sanificazione del fiore e di analisi dei livelli di cannabinoidi.
Altri esempi di attività nate di recente sono le produzioni di bevande e alcolici che vanno dagli amari, alla birra, passando per il gin, una produzione di materassi, un’altra di cuscini e prodotti alimentari che vanno dalle granite alle marmellate, passando per sciroppi, dolci e gelati. Sono inoltre state create delle scuole (a partire dalla Italian Cannabis Business School) e dei corsi per insegnare a coltivare e trasformare la canapa per favorire l’ingresso di nuovi imprenditori e coltivatori, agenzie di consulenza e comunicazione (come la Grow Up Agency).
Dal punto di vista del settore medico le principali attività sono quelle degli importatori di cannabis, dello Stabilimento militare di Firenze con la sua produzione, e delle farmacie che la dispensano. Mentre è da poco nata Cannabiscienza, la prima piattaforma dedicata alla formazione dei professionisti del settore, la speranza è che il ministero della Salute apra al più presto la produzione di cannabis medica ai privati, per sopperire alla carenza e favorire produzioni italiane.
Poi c’è tutto il settore dei negozi che una volta si differenziavano in Growshop, Headshop, Seedshop e infine Hempshop, ma che oggi tendono a sviluppare un concept unico in cu i rivenditori propongono sia semi e prodotti per la coltivazione, che prodotti per fumatori e derivati dalla canapa nei diversi settori. Negli ultimi anni si è registrata la crescita maggiore passando dai circa 200 del 2014 ai 250 del 2015, oltre 300 nel 2016, più di 400 nel 2017 per arrivare agli oltre 700 attuali. Quindi ci sono voluti dieci anni (dal 2005 al 2014) per vedere nascere 100 nuovi negozi, e solo 4 (dal 2014 al 2018) per vederne nascere altri 500. Il dato più eclatante è che in un anno i negozi sono quasi raddoppiati, passando dai 400 del 2017 agli oltre 700 censiti a fine 2018. QUI l’elenco completo e aggiornato.
Insomma, in pochi anni siamo passati da piccole realtà pioneristiche, sicuramente ricche di entusiasmo ma che si basavano molto sull’improvvisazione, a realtà professionali altamente specializzate, con magazzini, dipendenti e sistemi di logistica per gestire il tutto. Fondamentalmente il business si è strutturato in 3 diverse forme: il negozio singolo di proprietà, le realtà che da un singolo negozio si sono sviluppate creando un franchising più o meno articolato, ed i distributori che, oltre a vendere i prodotti in prima persona, si occupano di rifornire anche gli altri negozi potendo garantire prezzi bassi grazie alle grandi quantità di merce trattata.
Sicuramente tra i fattori che hanno contribuito alla diffusione di questo tipo di attività c’è il fatto che ci si può lanciare in questo tipo di impresa con un investimento non eccessivo. Per chi decide di lavorarci in prima persona infatti, le prime spese saranno quelle relative all’affitto del locale ed ai primi ordini per l’assortimento. Questo non vuol dire che sia un’attività facile da gestire, tutt’altro, ma sicuramente si è rivelata un’operazione sostenibile per molti piccoli imprenditori dal nord al sud della penisola.
Siamo nel momento in cui, mentre c’è chi punta ad aprire l’ennesimo growshop o azienda per coltivare cannabis light, c’è chi prova a portare avanti progetti originali, perché una cosa che c’è da aver presente è che siamo agli inizi di un nuovo mondo per la cannabis, e si stanno aprendo spazi enormi per chi ha la capacità di innovare e immagine un futuro diverso.
Il nostro consiglio è quello di continuare a seguirci, di partecipare agli eventi di settore e di cercare di specializzarsi il più possibile. Un’importante risorsa può essere il forum di ENjOINT, la più grande community italiana di grower: ottimo luogo virtuale per avvicinarsi a questo mondo o approfondirlo.