Cannabis: un antico rimedio per la malattia chiamata mafia
In un numero di Dolce Vita si è parlato di Peppino Impastato, uno dei volti noti, ammazzati nella guerra che ormai si perpetua senza fine nel nostro Bel Paese. Peppino usava l’umorismo per “combattere la mafia”, voleva cambiare davvero le cose. Per questi motivi è stato ammazzato. Recentemente ho avuto modo di parlare con un ragazzo colombiano che ha vissuto per molto tempo a Medellin e mi raccontava di storie di omicidi nel ghetto sudamericano.
Non riuscivo a trovare differenza tra questo o il nostro paese dove ancora oggi, sebbene io viva così distante dall’Italia, mi giungono le notizie di ragazzini ammazzati per strada. Ad una riflessione più attenta, però, la differenza è apparsa chiara ai miei occhi, questa “malattia dell’umanità” chiamata mafia, laggiù, è ancora agli stadi primordiali e l’omicidio plateale la fa ancora da padrone. Nel Bel Paese, invece, l’evoluzione corre molto più rapida ed attenta. La mafia si è radicata per non morire, si è nascosta e silente è penetrata all’interno delle nostre vite. Come un virus che si adatta sfruttando gli organi del suo ospite. Potrebbe insorgere la domanda: «Ma come si fa a trovare una terapia per una malattia dell’intero genere umano?» Io ho la convinzione che la risposta possa essere molto semplice: «Stimolando un sistema antico in tutti noi che richiami alle nostre menti quei concetti di coscienza collettiva ad oggi spesso obliata facilmente». La mafia porta a pensare che sia giusto fare qualsiasi cosa pur di ottenere un vantaggio personale.
Un utilizzo consapevole di Cannabis porta a pensare che sia giusto subire qualsiasi cosa pur di ottenere un vantaggio collettivo. Il primo modo di pensare porta all’affermazione dell’individuo e dei suoi bisogni, siano essi indotti o genuini, il secondo, invece porta alla realizzazione del “vero bene superiore”, quello per la collettività intera, anche a scapito del singolo. Questo dovrebbe essere il compito principe di uno Stato democratico. Forse è per questo che è proprio lo Stato l’organo più colpito da questa malattia, in un paese, ormai in stadio terminale.