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La cannabis tra scienza e giustizia

Le considerazioni dell’avvocato Zaina sul delicato equilibrio tra scienza, leggi e diritto alla salute dei pazienti, penalizzati due volte, come malati e come cittadini

La cannabis tra scienza e giustizia

Ho avuto modo in queste settimane di partecipare, quale relatore, a simposi e convegni che hanno per tema la cannabis terapeutica.

Mi sono sentito – e l’ho affermato pubblicamente senza vergogna ed ipocrisia – un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro.
La mia sensazione è facilmente spiegata e riposa nel fatto che calare una seppur sintetica esposizione di profili normativi e giurisprudenziali, sia di carattere generale, che specifico, in un contesto nel quale centrali sono gli aspetti medici, tossicologici e, soprattutto le procedure di ottenimento e somministrazione di prodotti sia galenici, che farmaceutici, non è semplice.

PROFILO GIURIDICO E SCIENTIFICO

Si tratta di due mondi, quello scientifico e quello giuridico, del tutto differenti, tra loro, con ben pochi punti di contatto, ma che devono, però, entrare, comunque, in una minima simbiosi, proprio in funzione di quei pochi riferimenti comuni.

È evidente che il punto di partenza nasce dalle esperienze di ricerca, sia concernenti l’utilizzo della pianta di cannabis e delle sue parti, onde ottenere prodotti farmaceutici e medicali sempre più performanti, che contengano principi attivi quali il THC ed il CBD, i quali garantiscono a pazienti di specifiche patologie, concrete alternative all’uso ed al commercio di farmaci, e che – a differenza di quelli a base di cannabis – possono, invero, determinare effetti e conseguenze assai pesanti sia sul piano fisico che su quello psichico, sia nel breve, che nel lungo termine di utilizzo.

Ho, quindi, potuto constatare il fervore e la profondità del lavoro dei ricercatori nonché, comunque, la competente passione dei medici che hanno esposto le loro esperienze di applicazione quotidiana. Soprattutto, allo stato, al di là di della rilevanza di alcune nuove sperimentazioni pilota, che, peraltro, pur essendo ancora in itinere, paiono schiudere concrete ulteriori speranze di un uso medico fattivo dei derivati della cannabis, appare evidente, comunque, l’importanza dei farmaci che da anni, ormai, sono utilizzati proficuamente in relazione a varie patologie e, soprattutto, con funzione di antagonismo al dolore e che sono adottati nei protocolli dei reparti di cure palliative dei maggiori ospedali italiani.

In questo universo deve, pertanto, entrare in punta di piedi il profilo attinente alle norme che disciplinano la complessa materia.

È chiara la matrice fortemente preventivo-repressiva di possibili usi illeciti, penalmente rilevanti, che connota le stesse.

Tale spiccato (e più noto) carattere rischia di creare situazioni di grande disagio, in quanto lo scopo, perseguito dal legislatore, di evitare una diffusione illecita di sostanze con destinazioni differenti da quella terapeutica, può portare ad una lettura restrittiva di contesti, privi di antigiuridicità, con penalizzazione di condotte lecite.

Per evitare questi attriti e queste contraddizioni, è necessario che il giurista abbia un approccio umile e sia sempre pronto a fare un passo indietro rispetto alla scienza tossicologica, farmaceutica, botanica, nonché alla medicina. Al contempo, però, il ruolo del giurista non deve essere circoscritto ad una marginalità inutile ed improduttiva. Lo scopo deve, pertanto, essere quello di sviluppare e coniugare, in modo armonioso, sia nuove frontiere dell’applicazione medico-scientifica della cannabis terapeutica, con i doverosi aggiornamenti – legislativi e giurisprudenziali – del sistema giuridico vigente.
Si rende, quindi, necessario un confronto serrato e reale fra le due anime.

Il Dpr 309/90, che costituisce il sistema di guardia, per evitare abusi, anche attraverso un complicato sistema di autorizzazioni al commercio ed alla produzione di sostanze che possano avere una base stupefacente o psicoattiva – come possono essere farmaci e preparazioni galeniche – deve, però, essere aggiornato.

Esso mostra difetti di adeguamento alla realtà odierna, tipici del fatto che esso risale a quasi 35 anni or sono. Deve essere affrontata, poi, tutta una serie di tematiche, che riguardano, soprattutto, i pazienti.

PAZIENTI E DIRITTO ALLA SALUTE

Non può, infatti, sottacersi la tutela dei diritti degli stessi, quali detentori di prodotti medicali, di derivazione sia industriale, che artigianale (provenendo da singole farmacie), quali persone che non possono vedere limitata la propria libertà di circolazione – in Italia e nel mondo – e che non possono vivere nel timore di rischiare conseguenze giudiziarie, solo in dipendenza di trattamenti curativi per loro assolutamente necessari.

Nell’ambito della tutela della libertà di movimento del cittadino – principio costituzionalmente regolato dall’art. 13 Cost. – si deve, inoltre, collocare, poi, l’argomento della guida di veicoli, da parte di persone che seguano piani terapeutici, che prevedano il consumo di sostanze a base di cannabis.

Sul punto sia sufficiente osservare che la recente riforma dell’art. 187 CdS, imponendo un’ingiustificata ed incomprensibile stretta al regime precedente e disattendendo sorprendentemente chiare ed univoche evidenze scientifiche, ha introdotto tutta una serie di questioni, che – allo stato – non paiono risolte od in via di risoluzione, nonostante le cicliche assicurazioni del Ministero.

Al di là della portata più ampia del tema, appare evidente il grave rischio di penalizzazione e di punizione di persone, che seguendo prescrizioni mediche, invero sono del tutto incolpevoli e la cui posizione dovrebbe essere oggetto di distinzione e valorizzazione.

Non si dimentichi che il paziente viene penalizzato due volte, sia come malato, che come cittadino-lavoratore, che può vedere frustrato il personale bisogno di una propria autonoma mobilità.

Chiunque comprende che l’argomento è fondamentale, che – come detto – appare complesso perché molti sono i protagonisti sulla scienza, che si deve raggiungere un corretto equilibrio fra scienza e diritto, senza che nessuno dei due segmenti prevarichi o condizioni abnormemente l’altro. Benvenuti, quindi, questi consessi, se i partecipanti avranno un approccio costruttivo e collaborativo, soprattutto, se queste esperienze di confronto potranno giovarsi del contributo, privo di pregiudizi ed apriorismi, anche di magistrati e forze dell’ordine.

La cannabis tra scienza e giustizia
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