Cannabis terapeutica: quando si passa ai fatti?
In Sicilia, l’Assessore regionale alla Salute Ruggero Razza, la scorso agosto ha riunito un tavolo tecnico per l’uso terapeutico della cannabis. Hanno partecipato docenti universitari, medici, farmacisti, esperti in terapia del dolore, neurologi, componenti dell’assessorato e alcuni rappresentanti di associazioni che si battono per l’uso terapeutico.
Ancora una volta si è sottolineata la valenza dell’impiego in ambito medico della cannabis, la necessità di rifornire i malati e quella di cambiare le leggi. Ma quali sono le reali soluzioni ai problemi? Sicuramente serve una legge chiara che specifichi tutti i casi in cui è possibile ottenere la prescrizione, ma occorre fare molto di più. Data la valenza di questo vegetale in campo medico, si dovrebbero immediatamente organizzare corsi universitari e post laurea specifici, in farmacia e medicina, che formino il medico per trattare il paziente con cannabinoidi, e il farmacista per la realizzazione di preparati galenici. Risolto il problema della carenza di figure professionali specifiche, rimane quello più grave: l’approvvigionamento.
Il ministro della Salute Giulia Grillo parla di dare la possibilità, ad aziende private, di produrre cannabis terapeutica, oltre che di aumentare la produzione presso lo Stabilimento militare di Firenze e l’importazione dall’Olanda. Secondo quali criteri verranno scelte queste aziende? Siamo certi che, i consigli che ricevono oggi i nostri rappresentanti politici, non arrivino da soggetti in conflitto di interessi?
Per risolvere davvero il problema della cannabis terapeutica, in Italia, occorre pensare:
– alle esigenze dei malati e relativa tutela dei loro diritti,
– all’introito fiscale che deriverà dalla vendita di cannabis medica e alla gestione dei capitali;
– a tenere lontani gli speculatori finanziari e le associazioni criminali.
Alla fine del 2017, il colonnello Antonio Medica, capo dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze (ancora oggi l’unico istituto autorizzato a produrre cannabis in Italia) dich
iarava: «Al momento riusciamo a soddisfare solo un quinto delle richieste provenienti da pazienti italiani». Il governo, durante la scorsa legislatura, ha stabilito che entro il 2019 si dovrà arrivare ad una produzione annua di 150 Kg di cannabis terapeutica; sempre che arrivino i finanziamenti: 1,6 milioni di euro.
Un sacco di soldi per fare solo 150 Kg all’anno di cannabis! Inoltre, tale quantitativo risulta già insufficiente considerando che la cannabis è già impiegata con successo nel trattamento di malattie oncologiche, neuro degenerative, dolore cronico, epilessia, malattie mentali, anoressia e mole altre patologie. Si stima che, in Italia, siano oltre 20.000.000 i pazienti che otterrebbero benefici integrando con la cannabis il proprio piano terapeutico. Come verranno soddisfatte le richieste quando i medici che seguono questi malati, prescriveranno loro cannabis?
Una buona legge che si prefigge di risolvere il problema della produzione, abbattendo i costi per i cittadini, deve necessariamente prevedere la collaborazione con aziende private dislocate sul territorio nazionale. In questo periodo di crisi economica, sarebbe un peccato limitare la nascita di aziende produttrici regionali, a esclusivo vantaggio di chissà quale grande multinazionale. Una volta formulato un apposito bando, sarà semplice selezionare le aziende con cui stabilire contratti di produzione. Non servirà investire capitali nella realizzazione degli impianti di produzione, se saranno di proprietà privata dell’azienda. Le piante coltivate a scopo medico, verrebbero prodotte e fornite dal CREA-CIN di Rovigo, come già fa con lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze che produce la FM2. Si dovrà prevedere un rigido protocollo di produzione, ma nulla di impossibile.
Il primo bando di concorso per la produzione di cannabis terapeutica destinata ai pazienti italiani è stato già fatto, ed è stato vinto dall’azienda Aurora, con sede in Canada.
Perché non si può fare in Italia?
Prevedendo di affidare la produzione a 5 aziende dislocate strategicamente sulla penisola e sulle due principali isole, si potrebbero abbattere i costi di trasporto e l’impatto ambientale; oltre che ad aver garantita la continuità di prodotto.
In una prima fase sperimentale, la produzione potrebbe essere anche di soli 500 Kg/anno. Praticamente lo stesso quantitativo che attualmente acquistiamo dall’estero.
Il quantitativo prodotto, e le concessioni date dallo Stato per la produzione di cannabis medica, aumenterebbero all’aumentare delle richieste.
A voler essere rigidi, per evitare che la cannabis medica prodotta possa finire sul mercato nero, si potrebbe vietare alle aziende produttrici di far uscire il prodotto dallo stabilimento; ed affidare all’esercito il compito di ritiro, di effettuare analisi di rito, e di rifornire le farmacie galeniche autorizzate.
La nuova legge dovrebbe stabilire anche un bando di concorso per i laboratori specializzati che effettuano analisi dei campioni delle infiorescenze e dei farmaci che da esse derivano. In questo modo si potrebbero abbattere i costi per l’acquisto dei farmaci, che attualmente prevedono anche una quota per le analisi che fa lievitare il loro prezzo.
Bisognerebbe inoltre istituire un organo per monitorare i pazienti in cura con cannabis, e registrarne i risultati ottenuti. In questo modo si potrebbero raccogliere milioni di dati scientifici utili al progresso medico; e controllare l’eventuale “furbo” che, con la scusa della prescrizione, cerca di consumare cannabis medica per scopo ludico. Per chi vuol consumare cannabis a scopo ricreativo, dobbiamo continuare a lottare sino a che non si otterrà la legalizzazione dell’autoproduzione; ma qui si parla di risolvere i problemi dei malati.
Per il recupero dei capitali necessari, si può onestamente entrare nello stesso mercato in cui attualmente operano le aziende straniere già autorizzate a produrre e vendere cannabis a scopo terapeutico: durante l’ultimo anno sono stati consumati circa 500 Kg di cannabis, pagata ad un minimo di circa 9€/g per chi è riuscito a fare l’importazione diretta; e anche a 12/15€ a grammo per quella acquistata in farmacia (il costo imposto per la cannabis medica è di 9€/g. Ad esso vanno aggiunti i costi per il preparato galenico, le analisi e i costi di spedizione. Così il prezzo può lievitare di molto). Si parla di circa 5 milioni di euro.
A questo punto, la domanda da porre ai nostri politici è: se non sono i soldi che mancano né le competenze tecniche, perché non si vuol risolvere definitivamente il problema?