Cannabis medica. 100 risposte sull’uso terapeutico della marijuana. Il libro “contro” di Franco Bernabei
“La serena convinzione dell’immortalità dell’anima, della futura resurrezione dei corpi e della responsabilità eterna dei propri atti, è il metodo più sicuro anche per prevenire il male terribile della droga, per curare e riabilitare le sue povere vittime, per fortificare nella perseveranza e nella fermezza sulle vie del bene”.
Con queste parole, citazione del “beato Giovanni Paolo II”, si conclude un testo fresco di stampa intitolato “Cannabis medica. 100 risposte sull’uso terapeutico della marijuana”. In realtà è stata per me una sorpresa trovare questo testo sugli scaffali di una libreria, in quanto non ne sapevo nulla e l’Autore mi era sconosciuto. Presiedendo un’associazione che da più di dieci anni si occupa di queste problematiche, pensavo che sarebbe stato utile per il Sig. Bernabei avere un contatto con noi, almeno per avere qualche informazione. Non pretendiamo certo di possedere la verità su questo argomento molto dibattuto, ma forse uno scambio di opinioni poteva giovare ad entrambi. Invece nessuno del comitato direttivo e scientifico dell’Associazione era stato contattato al riguardo.
Certo uno si può chiedere cosa c’entrino le conclusioni del libro con il tema Cannabis medica.
Bernabei non è un medico, e nemmeno un farmacologo, e neanche un ricercatore. E’ giornalista pubblicista, responsabile dell’Agenzia Osservatorio-Droga.it e, tra l’altro, rappresentante italiano dell’European Cities Against Drugs, che, a detta del risvolto di copertina, è la più grande organizzazione internazionale contro la droga. Inoltre è cofondatore, assieme a Roberto De Mattei (sì, l’ex vicepresidente del CNR divenuto famoso per il suo antievoluzionismo e che ha fatto vergognare tutto il mondo della ricerca italiana) e presidente del centro culturale Lepanto, un’organizzazione che opera “in difesa dei principi, gli ambienti e le istituzioni della Civiltà cristiana… combatte il relativismo culturale e il progressismo”. Da tali presupposti ideologici (direi anzi fideistici) parte tutta la critica di Bernabei alla terapia con i cannabinoidi, a suo dire assolutamente inutile e nociva. Fin dalle prime righe egli si presenta, con “captatio benevolentiae” in cerca di compassione, quale sopravvissuto ad un cancro. Sembra quasi voler dire che se lui è riuscito a superare questa malattia senza dover ricorrere ai cannabinoidi, allora possono (anzi devono) farlo tutti; come se i sostenitori dei cannabinoidi li ritenessero una medicina adatta a tutte le patologie di tutti i pazienti.
Non si vogliono criticare le scelte religiose del Sig. Bernabei, che è libero di esprimere il suo pensiero. Si vuole però ricordare quanto a suo tempo rispose il Mons. Antonio Soto, Officiale del Pontificio consiglio per la pastorale della salute, a un paziente che gli chiedeva il suo parere bioetico riguardo la possibilità di intraprendere una terapia con cannabinoidi: ”Tra le cure da somministrare all’ammalato grave, e con malattie dolorose, vanno annoverate quelle analgesiche… la soppressione del dolore procura una distensione organica e psichica, facilita la preghiera e rende possibile un più generoso dono di sé… La prudenza umana e cristiana suggerisce per la maggior parte degli ammalati l´uso dei medicinali che siano atti a lenire o sopprimere il dolore, anche se ne possano derivare torpore o minore lucidità… la prudenza umana e cristiana suggerisce per i malati l’uso dei medicinali appropriati per lenire o sopprimere il dolore, sebbene questi possano aumentare la mancanza di lucidità mentale (Javier Lozano, Metabioetica e biomedicina, Vaticano 2005)… Pertanto, Signor…., i medicinali indirizzati a lenire il dolore in un malato grave come il caso suo, e secondo il parere autorizzato e professionale del medico, possono includere sostanze narcotiche, e che la finalità non é la tossicodipendenza, ma piuttosto lenire il dolore (sic)”. A quanto pare il cattolicissimo Bernabei non conosce quale è la posizione della Chiesa Cattolica a riguardo.
Leggiamo ancora che “la coltivazione della canapa è antiecologica perché richiede maggior impegno per la preparazione del terreno con fertilizzanti e i semi devono essere trattati con insetticidi. La canapa impoverisce il terreno più del cotone e del lino…”, affermazioni che hanno dell’assurdo, non a detta mia, che non sono agronomo, ma a detta del Dott. G. Grassi, primo ricercatore del Centro di Ricerca per le Colture industriali, e maggior esperto italiano nella coltivazione della canapa.
La strategia dell’Autore è quella di confondere continuamente il problema della terapia con i cannabinoidi con quello della legalizzazione della Cannabis e, più in generale, delle “droghe”. D’altra parte dichiara apertamente che secondo lui “La cannabis medica è un vero “cavallo di Troia” per legalizzare droghe altrimenti rifiutate!”. Su questa continua confusione di livelli ruota tutta la condanna al farmaco, in quanto “La droga è un male e al male non si addicono cedimenti”, per non cadere nell’”anarchismo che si presenta come un’ideologia che si oppone ad ogni specie di divieto e di proibizione in campo morale”, e ancora: ”La cannabis è una bandiera che il pensiero anarchico non vuole ammainare”.
Secondo Bernabei “I giudici già obbligano le Asl a fornire gratis la cannabis medica”, ricordando la sentenza, la prima in Italia, emessa dal tribunale di Avezzano nel 2010 nei riguardi di un malato di sclerosi multipla. Doppio errore: una sentenza simile era stata già pronunciata dal tribunale di Venezia nel 2002 e in ambedue i casi i giudici hanno solo rimosso dei boicottaggi burocratici a prescrizioni, fatte a norma di legge, da medici specialisti (nel secondo caso, la prescrizione a una paziente con cancro inoperabile era stata redatta dal sottoscritto).
Considerando la letteratura portata a suffragio delle sue tesi, troviamo un esperto che ammonisce contro i danni agli “alveolur macrophages”. Tanto esperto da americanizzare la parola di origine latina “alveolar”, e Bernabei che, ricordiamo, medico non è, trascrive pari pari il termine, così: la “marijuana sostanzialmente riduce la macrofagi alveolur”, frase che non ha senso. I MACROFAGI ALVEOLARI sono particolari cellule di difesa del polmone. Chissà se Bernabei ha letto il recente studio che ha dimostrato che l’uso una volta al giorno di cannabis per venti anni non solo danneggia i polmoni meno di quanto fanno le sigarette, ma addirittura dà un seppur limitato miglioramento delle capacità respiratorie. L’Autore arriva a tradurre le parole “smoked THC”, cioè THC, principale principio attivo della pianta, assunto in forma di sigaretta, con“THC affumicato”: ma qui non si parla né di speck né di salmone! Per venire al punto essenziale, solo mezza pagina è dedicata a quello che dovrebbe essere il tema del libro, cioè l’uso analgesico. Bernabei scrive “Che la cannabis abbia una sicura efficacia analgesica è da dimostrare”. Cita a questo proposito un autore che scrive “ho il sospetto che molti pazienti con il dolore cronico stiano cercando di auto-curare e alleviare la depressione e l’ansia che accompagnano la sofferenza”. E dove sta il problema? Non sa Bernabei che l’uso di antidepressivi è uno dei cardini della terapia del dolore? A quanto pare l’Autore non sa che la Cannabis e i cannabinoidi hanno dimostrato nel dolore da sclerosi multipla di possedere un’evidenza scientifica maggiore di tutti gli altri farmaci, tanto da essere indicati nelle linee guida di terapia curate dall’Associazione dei Neurologi europei, pur come secondo livello.
Ma il libro ci fa scoprire anche che “E’ il finanziere George Soros che anima il movimento per la cannabis medica”. Dopo tanti anni dedicati volontariamente, assieme a tanti amici e colleghi, e a nostre spese, a studiare il problema, a relazionare a congressi e conferenze, a visitare gratuitamente pazienti, questa affermazione sembra quasi offensiva.
Insomma un testo che fa acqua dal punto di vista scientifico, legislativo, storico ed etico. Si sarebbe potuto anche ignorare se non fosse che si pone come un ulteriore ostacolo, perlomeno ideologico, alla possibilità da parte di tanti pazienti di ottenere un farmaco che lenisca le loro sofferenze.
Un’ultima perla: tra i cento motivi per opporsi alla Cannabis medica vi è che “La cannabis per uso personale aumenta anche il riscaldamento totale”. Anche stampare certi libri ha un costo energetico, e causa il taglio di alberi; avremmo preferito che qualche albero fosse salvato, e alla sua ombra stenderci a studiare qualche testo scientifico sull’importanza del sistema endocannabinoide e le sue applicazioni per la salute umana.
Francesco Crestani
Medico-chirurgo, specialista in Anestesia e rianimazione.
Presidente dell’Associazione Cannabis terapeutica
fonte: aduc.it