Cannabis light: i chiarimenti dell’avvocato Bulleri
In un momento di grande fermento per la canapa industriale italiana, dovuto alla coltivazione di canapa da fiore ed in particolare per la cosiddetta cannabis light, gli agricoltori ed i produttori italiani chiedono maggiori certezze, visto che la legge non ha emanato nessuna norma che riguardi proprio le infiorescenze.
In generale gli orientamenti delle aziende sono due: quello di produrre canapa in Italia utilizzando le varietà certificate a livello europeo, oppure quello di importare infiorescenze dall’estero, in maggior parte dalla Svizzera e di commercializzarle in Italia. I dubbi partono dalla percentuale lecita di THC che possano contenere i fiori, per arrivare a chi si chiede se sia legale o no commercializzare infiorescenze di varietà non certificate e quindi non contemplate dalla legge italiana sulla canapa, fino a chiarimenti sulla commercializzazione di talee o sulla possibilità, ad esempio, che diversi agricoltori possano dividere tra di loro un sacco di semenza da 25 chilogrammi.
Per cercare di fare chiarezza abbiamo girato le domande che in genere ci vengono rivolte a Giacomo Bulleri (www.studiobulleri.eu), avvocato e consulente che da tempo si occupa di canapa a livello agroindustriale; qui sotto la nostra
chiacchierata.
Le varietà di canapa industriale che possono essere legalmente coltivate in Italia sono quelle comprese nell’elenco delle varietà certificate a livello europeo, è corretto?
Assolutamente sì, sul punto la legge è chiarissima. È stato definito cosa si intende per canapa industriale e quindi le varietà iscritte nel registro comunitario, con regolare cartellino e valori di THC che non superino lo 0,2%.
Sulla soglia del THC dello 0,6% introdotta dalla nuova legge, qual è il suo parere?
A mio avviso, e parlo di quella che è la mia interpretazione attenendomi al dettato della norma, il limite dello 0,6% è un limite che riguarda la coltivazione in campo, una tutela per quanto riguarda l’agricoltore. La legge dice che la canapa industriale è quella delle varietà certificate che sviluppano al massimo lo 0,2% di THC; poi la legge dice che laddove il limite dello 0,2% venga sforato, non c’è nessuna conseguenza per l’agricoltore anche perché, come è noto, le varietà che per due anni sfiorano i limiti di THC vengono cancellate dal registro della varietà ammesse. La famosa questione dello 0,6% io la considero come una soglia di sequestrabilità perché la legge dice che se superi lo 0,2% non ci sono conseguenze per agricoltore e non si può nemmeno procedere al sequestro, mentre se supera lo 0,6% è possibile il sequestro su ordine dell’autorità giudiziaria, sempre senza conseguenze per l’agricoltore. La confusione che riguarda il prodotto finito a mio avviso è estranea a questo dibattito. Il fatto che ci siano prodotti che hanno livelli bassi di THC sarà una questione che avrà o meno rilevanza penale, ma non c’entra nulla con la legge sulla canapa industriale del 2016, è un’altra questione.
Visto che la legge del 2016 parla anche di coltivazioni destinate al florovivaismo, da ritenersi legale ad esempio la produzione e la vendita di talee?
Sul florovivaismo, attenendosi al dettato normativo, l’articolo 2 stabilisce chiaramente che è lecita la coltivazione di canapa per questa destinazione. Quando si parla di florovivaismo si intende un’attività professionale di produzione e commercializzazione di fiori recisi e di piante in un contesto di serre e vivai. Altra cosa importante è che già la Convenzione di New York del 1961, ratificata poi nel 1975, escludeva dalle sostanze stupefacenti la canapa ad uso industriale di fibra seme o orticoltura. Quindi fare ortoflorovivaismo significa che per la canapa, come per qualunque altra pianta, poter svolgere tutte le attività del settore come piante ornamentali, fiori recisi, e presuppongo anche l’aspetto delle talee; è chiaro che si debba a questo punto rispettare la normativa di settore ed avere quindi il patentino fitosanitario che serve per chi vende ad esercizi commerciali.