Cannabis light e derivati: per la Cassazione la vendita nei negozi è lecita
I negozi possono vendere cannabis light e prodotti derivati. L’ha stabilito la sesta sezione penale della corte di Cassazione con una sentenza che segna un nuovo capitolo nella giurisprudenza del fenomeno.
Se la vendita delle infiorescenze a basso contenuto di THC è lecita, e con essa l’uso dei prodotti realizzati con essa e messi in commercio non lo sono i sequestri preventivi che sono stati effettuati fino ad oggi.
La decisione è arrivata con una sentenza depositata ieri, che ha annullato senza rinvio il sequestro disposto dal Tribunale del riesame di Macerata nei confronti di un 28enne titolare di un negozio che vendeva il prodotto.
Se il problema a monte è che la legge sulla canapa industriale del 2016 non norma la commercializzazione ma solo la produzione, secondo la Cassazione, “risulta del tutto ovvio” che sia “consentita per i prodotti della canapa oggetto del sostegno e della promozione” espressamente contemplati dalla legge.
Il problema, si legge ancora nella sentenza, è “se la commercializzazione possa riguardare anche la vendita al dettaglio delle infiorescenze contenenti il THC (nei limiti) e il CBD (che non ha effetti stupefacenti e mitiga quelli dell’altro principio chimico) per fini connessi all’uso che l’acquirente riterrà di farne e che potrebbero riguardare l’alimentazione (infusi, thè, birre), la realizzazione di prodotti cosmetici e anche il fumo”.
Inoltre i giudici esprimono una linea diversa da quella sancita in precedenza dalla Corte, secondo cui “la presenza di un principio attivo sino allo 0,6% è consentita solo per i coltivatori non anche per chi commerci i prodotti derivati dalla cannabis”. Con la sentenza di ieri, invece, la Cassazione afferma che “dalla liceità della coltivazione della cannabis” stabilita con la legge del 2016 “deriverebbe la liceità dei suoi prodotti contenenti un principio attivo Thc inferiore allo 0,6%, nel senso che non potrebbero più considerarsi (ai fini giuridici) sostanza stupefacente soggetta alla disciplina penale prevista dal Testo unico sulla droga”.
Tradotto: secondo la Cassazione se si può coltivare canapa con limite di THC fino allo 0,6%, allora l’azienda produttrice può commercializzare prodotti con la stessa soglia, senza che siano considerati sostanza stupefacente.
Il problema vero è che oggi i giudici si trovano a decidere di casi che andrebbero normati a monte, con una specifica chiara: speriamo che la discussione delle 4 risoluzioni sulla cannabis light previste alla Camera portino dei risultati concreti.