Divieto cannabis light: a rischio aziende e posti di lavoro
La norma inserita nel ddl sicurezza affosserebbe un mercato che l'Italia aveva lanciato insieme alla Svizzera e che nel nostro Paese vede coinvolti 15mila lavoratori
Un divieto ideologico che avrebbe però pesanti conseguenze concrete: l’effetto principale dell’emendamento che vorrebbe vietare cannabis light e CBD voluto dal governo sarebbe quello di stroncare una filiera nata 8 anni fa e che fino ad oggi è sopravvissuta nonostante l’incertezza normativa mai sanata dalla politica.
È l’atteggiamento opposto a quello avuto da diversi Paesi, come Svizzera, Francia e Gran Bretagna, senza considerare la Germania, che hanno scelto la via della regolamentazione.
DIVIETO CANNABIS LIGHT E CBD: LE RIPERCUSSIONI ECONOMICHE
I numeri che circolano in questi giorni, diffusi da Il Sole 24 Ore, raccontano di una filiera che coinvolge 15mila lavoratori che operano nelle 1500 imprese agricole che la producono, che si sommano agli almeno 700 negozi di settori, sparsi in tutto il Paese, che la commercializzano. Un giro economico valutato sui 150 milioni di euro ma che avrebbe le potenzialità di raggiungere i 500 milioni l’anno, se fosse definitivamente regolamentato.
“Al governo ci sono dei trogloditi pericolosi”, sottolinea Matteo Gracis, giornalista indipendente e direttore di Dolce Vita. “Mentre nel resto del mondo si regolamenta e legalizza il mercato della cannabis – ultima la Germania – in Italia si vuole addirittura proibire la cannabis light che è paragonabile alla birra analcolica. Il danno economico causato da un simile provvedimento – che tra l’altro andrebbe in direzione opposta anche alle direttive europee – è di decine di milioni e almeno 15mila posti di lavoro persi dal giorno alla notte. Il tutto in un Paese dove alcol e tabacco, sostanze letali che causano decine di migliaia di morti l’anno, sono perfettamente legali e sotto al monopolio dello stato. E non è tutto: addirittura vorrebbero vietare l’immagine della foglia di canapa su insegne, cartelli e manifesti. Siamo alla follia totale!”
I PROBLEMI NORMATIVI E SOCIALI
Quello che in questi giorni di dibattito non è stato sottolineato a sufficienza, è che il Tar si è già espresso su una situazione simile. Era l’inizio del 2023 quando il Tar del Lazio accolse il ricorso presentato dalle associazioni di settore (Canapa Sativa Italia, Sardinia Cannabis, Resilienza Italia onlus e Federcanapa)e ha annullato il decreto sulle piante officinali che limitava la produzione di canapa a semi e fibre: per la prima volta un tribunale mette nero su bianco che non si possono limitare gli usi della canapa ad alcune parti per un generico principio precauzionale che va invece motivato con dati scientifici.
Come evidenziato da Canapa Sativa Italia, inoltre, la norma avrebbe un “impatto negativo sull’economia e la sicurezza pubblica: l’emendamento 13.6 potrebbe danneggiare l’economia italiana e incentivare il mercato nero. Studi dimostrano che la legalizzazione della canapa senza THC riduce le attività criminali legate a quella stupefacente“.
Altro punto sottolineato dall’associazione è che: “L’emendamento 13.6 viola diverse normative comunitarie, tra cui la libera circolazione delle merci e la libera concorrenza”. Ed è un aspetto già sottolineato da una sentenza della Corte di Giustizia europea, che aveva sottolineato che il CBD prodotto da uno dei Paesi membri deve poter circolare liberamente nei paesi che fanno parte dell’Unione europea.
Il risultato finale di questo provvedimento, quindi, sarebbe quello di affossare la filiera italiana, per favorire quelle estere, che inonderebbero il nostro paese di prodotti che noi non potremmo più creare.