Cannabis light: cosa aspettarsi dalla sentenza definitiva sul commercio delle infiorescenze
Da quando lo scorso 8 febbraio, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione decise di non decidere e, per mostrare una inutile, quanto infondata, coerenza con le proprie posizioni, che negano la liceità della commercializzazione dei prodotti derivati dalla coltivazione di canapa, rimise la decisione e soluzione del problema alle Sezioni Unite, vi è grande curiosità su questa prossima udienza.
La Quarta Sezione, infatti, già in altre precedenti occasioni aveva opposto un diniego alla richiesta di remissione degli atti alle SSUU, assumendo una posizione assolutamente irragionevole, che nega – nello specifico – ogni forma di commercializzazione delle infiorescenze.
A questo indirizzo, sordo a qualsiasi impostazione da esso dissonante, hanno aderito tutti coloro che hanno sposato una visione restrittiva del dettato di cui all’art. 2 comma 2 della l. 242/2016, che contempla le destinazioni di uso della canapa prodotta.
Atteso lo stato di incertezza maturato, l’esito che si paleserà il 30 maggio a seguito della discussione che si terrà nella aula sovrana della corte di legittimità (dove 7 anni fa discussi il processo a carico dei titolari di SEMITALIA e, a seguito di tale udienza, fu emessa la storica pronunzia sulla liceità della vendita dei semi di cannabis e sull’esclusione della configurabilità dell’art. 82 dpr 309/90, per la quale molti titolari di grow shop sono stati processati e taluni anche arrestati) si presta alle più disparate interpretazioni.
Vi è chi ritiene la seduta della SSUU una sorta di giudizio di Dio, sull’applicabilità della L. 242/2016 in tema di coltivazione, chi un duello fra opposte acerrime visioni ermeneutiche di tale legge e chi crede che, comunque, vada forse sarà possibile trovare un punto di sintesi fra le visioni confliggenti.
Siccome sarò, (purtroppo o per fortuna) colui che dovrà affrontare i Supremi Giudici, non sono nella posizione di (e non voglio) fare pronostici, né azzardare possibili incaute ipotizzazioni.
Mi permetto, però, di formulare alcune valutazioni.
La sentenza delle SSUU non equivale a legge, cioè non è in assoluto vincolante. Essa sarà certamente in grado di operare una right suasion, intesa, però, come forma di indicazione di principio sui giudici chiamati a decidere singoli casi.
E qui si aprono due scenari.
Mentre in caso di pronunzia di adesione sostanziale alla linea tracciata con la sent. 4920/19 della Sesta Sezione, favorevole al commercio delle infiorescenze, non potrebbe essere giustificato alcun tipo di deroga che potesse rimettere in discussione quanto sostenuto dalle SSUU, tanto è netto tale indirizzo, diverso discorso si deve svolgere nel caso opposto.
Nell’ipotesi in cui le SSUU dovessero aderire alla tesi più sfavorevole, si dovrà tenere seriamente conto delle numerose sfaccettature che le sentenze di tale segno presentano.
Per tutte segnalo due sentenze della Terza Sezione (pronunziate da due collegi composti in modo del tutto differente) ed emesse a tre giorni di distanza tra loro (4 dicembre e 7 dicembre 2018).
La più favorevole (R.G. 14017/19 che respingeva il ricorso per Cassazione del PM di Asti avverso un provvedimento del Tribunale del riesame che negava la legittimità di un sequestro di infiorescenze) afferma che la L. 242/2016 prevede la lecita commercializzazione dei prodotti della canapa (senza operare distinzioni di sorta), negando valore addirittura al famoso parere del CSS del 10 aprile 2010.
La meno favorevole, (R.G. 10809/19 che accoglie parzialmente un ricorso del PM di Ancona) opera, comunque, un interessante apertura, affermando testualmente che : “Va peraltro precisato che ove il prodotto a base di canapa non rientri tra quelli espressamente contemplati dall’indicato art. 2, comma 2, ciò non è di per sé sufficiente per la configurabilità del delitto punito dall’art. 73, comma 4, D.P.R. n. 309 del 1990, dovendosi accertare l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile”.
Pur nella sindacabilità di tale affermazione (la L. 242/2016 non affronta il tema della presenza di THC nei prodotti, sul piano strettamente aritmetico, ma solo su quello percentile) si deve rilevare che una linea difensiva finalizzata a fare ammettere la tesi della liceità del commercio, potrebbe fondarsi sulla valorizzazione di tutti quegli elementi di parziale ammissione contenuti nelle sentenze sfavorevoli.
Se, infatti, si potrà minare il fondamento e la certezza in diritto delle stesse, evidenziando la circostanza che non ci troviamo dinanzi a chiusure tranchant, quanto piuttosto a limitazioni concettuali e di principio, che, peraltro, ammettono – come, peraltro dimostrato nell’esempio – spazi elastici di possibile interpretazione favorevole, credo si potrebbe addivenire a una soluzione positiva.
Ci riuscirò? Non lo so, ma ci proverò.
Intanto sarebbe utile meno divisione, meno critiche invidiose e più mobilitazione, anche se ritengo che molti, che tanto potrebbero fare, rimangano inerti per pigrizia o per accecante quanto meschino calcolo personalistico.
Questi puri li abbiamo già visti in azione e già si sono fatti sentire sui social; non capiscono che questo potrebbe veramente essere il primo decisivo passo verso la legalizzazione.