Cannabis: l’eterna teoria del 16% e la disinformazione di mia mamma
Non sarà sembrato vero a Giovanni Serpelloni (già decaduto dall’incarico di presidente del DPA e da poco licenziato dall’ASL di Verona), sbandierare la teoria del 16% come la prova sovrana della diversità dell’attuale canapa rispetto a quella prodotta negli anni ’60 e ’70. Addirittura marijuana OGM e, come tale, da considerarsi droga pesante e causa del noto fenomeno dei ”buchi al cervello”.
La teoria nacque al servizio dei proibizionisti americani negli anni ’80 e affermava che il THC presente nella canapa di quegli anni fosse in percentuale di circa il 16%, cioè il quadruplo di quello presente nella canapa dei decenni precedenti quando arrivava al 4% (e grasse risate pensando agli avventori della Factory di Wharol fumare canapone). Da noi venne recepita dagli ammiratori della war on drugs nostrani, Bettino Craxi in testa, ed è stata ripescata dalla mitica coppia comica Giovanardi-Serpelloni, che fino all’anno scorso ci hanno deliziato con interventi ad hoc in quasi tutti i talk show innalzando la percentuale addirittura al 46%.
Che la teoria sia facile da smontare è però cosa nota solo agli addetti al settore: anni di litania anti canapa su una popolazione in cerca del capro espiatorio circa i mali della società hanno fatto in modo che l’italiano medio si sia convinto che dalla canapa si passi all’eroina, che la stessa sia transgenica e pericolosissima, e che, signora mia, “Dove andremo a finire con tutti questi giovani che si fanno le siringhe di marijuana, che quando c’era Lui dormivamo con le porte aperte”.
Nonostante in famiglia mi si riconosca un certo ”pollice verde”, non riuscirò mai a convincere mia madre ormai anziana che se gli ibridi fanno i semi non possono essere OGM e che la prima Skunk della mia vita (forse l’erba più potente mai fumata) fu trovata in collina vari decenni fa, laddove l’Indica bassa e grassa dell’Appennino Meridionale si univa con la Sativa a forma di albero tipica delle zone a valle che guardano verso il mare.
Io le spiego che in tutte le zone di produzione si è cercato di migliorare la specie e di concentrare il principio attivo: l’olio di hashish, cara mamma, ne ha il 60% e certo non lo abbiamo inventato oggi in laboratorio, anche tu fai restringere il brodo di cappone per farlo più saporito; lei mi controbatte piccata che se la parola assassino deriva da hashish, ci sarà bene un motivo.
Non riesco a smuoverla dalle sue convinzioni proibizioniste, anche se sono sicura che se i media cominciassero ad allentare la presa e a divulgare notizie più attinenti alla realtà, lei le farebbe presto sue.
Ma quello che mi fa davvero inalberare e che mette fine alla discussione, è quando, per fornire la prova principe dell’innocuità della cannabis, io mi propongo come esempio. Mamma, le dico, la canapa non è una droga più di caffè e nicotina: è una sostanza ludica che ti permette di migliorare i tuoi standard di vita, ti rilassa e ti fa ridere senza farti perdere gli obiettivi. D’altronde guarda me che la consumo da quasi quarant’anni! Allora lei, come da copione, mi guarda e ridendo mi dice: ”Appunto”.