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Cannabis legale, un paradosso italiano

Cannabis legale, un paradosso italiano

I signori X, Y e Z sono agricoltori che quest’anno hanno deciso di coltivare cannabis legale al fine di produrre e vendere infiorescenze.

Il sig. X ha un quarto di ettaro destinato alla coltivazione di canapa. Ha piantato solo semi certificati di specie legali, ed è in possesso di tutti i documenti che lo dimostrano ma, il giorno in cui arriva il controllo delle FF.OO., subisce una perquisizione in azienda e nella sua casa personale. Il campo viene posto sotto sequestro e i giornali pubblicano la notizia come violazione del DPR 309/90.
Il sig. Y viene fermato durante una normale azione di controllo effettuata dalle FF.OO.

Il sig. Y ha con sé 2 Kg di cannabis asciutta, che deve portare in magazzino per effettuare lavorazioni di pulizia e confezionamento. Ha già raccolto, essiccato e venduto diversa cannabis legale da lui prodotta, ed è in possesso di analisi che certifichino livelli di THC inferiori ai limiti massimi imposti dalla legge. Quando gli agenti vedono le infiorescenze, a nulla serve mostrare documenti (tra cui comunicazione della coltivazione alle FF.OO.) e analisi.
La cannabis viene sequestrata e il sig. Y indagato per la violazione del DPR 309/90.

Il sig. Z, che ha coltivato rispettando le direttive della legge 242/16, effettua tre test prelevando campioni di infiorescenze da tre piante differenti: uno non supera lo 0,09% di THC, l’altro arriva allo 0,59%, e l’ultimo è uno 0,31%.

Il sig. Z ripete le analisi, spaventato dall’ultima circolare del ministero dell’Interno in cui è esplicitamente scritto che la cannabis che supera i livelli dello 0,5% di THC, come previsto dal DPR 309/90, è sostanza stupefacente (ossia è “marijuana”), e che quella sotto lo 0,2% è certamente legale dati anche i precedenti giudiziari. La circolare ribadisce, come scritto nella 242/16 e nella circolare MIPAAF di maggio 2018 che, in campo, sino allo 0,6% di THC si è nella legalità; e quindi non rischia le manette sin quando non vende i fiori di quella pianta.

Ma è impossibile analizzare tutte le piante sul campo. Inoltre, sono legali o no le infiorescenze con THC compreso tra 0,2% e 0,5%?

Le successive analisi, effettuate prendendo campioni da altre tre piante, danno un risultato ancora più sorprendente: 0,07% di THC il primo campione, 0,12%il secondo e 0,41% il terzo…

Questi sono tre casi tipo in cui purtroppo si rispecchiano diversi agricoltori. Purtroppo i rappresentanti delle FF.OO. devono attenersi alla legge, ma quale?

La priorità, secondo la politica proibizionista, è quella di vietare la droga, e quindi far rispettare l’illogica e obsoleta 309/90. Così, qualsiasi certificato si possegga, se un agente trova un campo di canapa, può effettuare denunce, sequestri e indagini anche se il proprietario è in possesso di analisi effettuate presso centri accreditati.

In un paese i cui politici si esprimono a favore della promozione della coltivazione di canapa e delle relative filiere, è inaccettabile pretendere che un imprenditore investa in un settore innovativo così mal normato. Se la conseguenza è quella di rischiare uno shock emozionale personale, e spesso anche familiare; e rischiare di finire sui giornali subendo la gogna mediatica, meglio rinunciare a coltivare cannabis in Italia.

Nonostante una legge appositamente varata, coltivare cannabis in Italia non è conveniente per chi vuol farlo legalmente, mentre lo è ancora per la criminalità organizzata che detiene la maggior parte del mercato. Non basta questo a dimostrare quanto sia errata l’attuale normativa?


La confusione legislativa mette in crisi tutto il settore, in quanto è matematicamente impossibile che in un campo con centinaia di piante, nessuna sfori i livelli massimi dello 0,2%. Inoltre, per quale motivo si deve temere di sforare lo 0,2%, se nel DPR309/90 è la soglia dello 0,5% di THC che determina l’illegalità dei derivati della cannabis?

È dannoso limitare le varietà coltivabili per la produzione di fiori: l’unico limite da imporre, volendo restare una nazione proibizionista, è quello del THC. Una volta stabilita una percentuale massima, dare libertà di scelta delle genetiche è indispensabile per diventare competitivi con i produttori svizzeri, olandesi e spagnoli.

In Italia serve una legge chiara in merito alla produzione e alla lavorazione dei derivati alimentari e industriali della cannabis, alla coltivazione di piante per produrre infiorescenze e alla commercializzazione di queste.

Occorre distinguere i mercati, altrimenti si ricadrà nell’errore di sprecare seme buono per produrre alimenti, fibre e canapulo, per fare terribili infiorescenze.

Serve poter spostare il limite di THC nelle infiorescenze a quello 0,6% previsto per l’industriale; mandando in pensione il DPR 309/90 e regolamentando saggiamente il possesso e la coltivazione a uso personale di cannabis per i maggiorenni. Lo chiede il popolo italiano.

La cannabis è una risorsa, non un pericolo.

Cannabis legale, un paradosso italiano



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