Cannabis: la Cassazione cambia ancora idea, è reato coltivare anche una sola pianta
Nell’incertezza derivante dalla situazione legislativa prodotta dalla bocciatura della Fini-Giovanardi prosegue l’altalena di interpretazioni, con le diverse sezioni della Cassazione che ciclicamente partoriscono sentenze che si smentiscono a vicenda.
Se negli ultimi mesi erano giunte, infatti, diverse sentenze che andavano nella direzione della non punibilità di piccole piantagioni a scopo personale, come quella della sesta sezione penale della corte di Cassazione che aveva assolto un cittadino imputato della coltivazione di due piante perché ad uso personale, ora arriva una nuova sentenza di orientamento molto più punitivo da parte della terza sezione, che ha stabilito che la coltivazione di cannabis è sempre punibile, a prescindere dalle sue dimensioni.
“COLTIVAZIONE NON PUO’ ESSERE ACCOMUNATA A DETENZIONE”. Nel caso specifico, la sentenza della Cassazione, riguardava un cittadino romano accusato della coltivazione di tre piante di cannabis nel proprio cortile di casa. Mentre, in altre sentenze, si erano interpretate coltivazioni di tale entità, evidentemente per il solo consumo personale, parificandole di fatto alla detenzione (quindi non punibile penalmente). La sentenza della terza sezione, ripercorrendo la giurisprudenza della Corte costituzionale, esprime un principio molto più punitivo: è reato qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione delle piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale.
PUNIBILE OGNI COLTIVAZIONE, ANCHE SE CON MINIMO PRINCIPIO ATTIVO. A questo principio, si legge tra le carte della sentenza, la Corte è arrivata attraverso differenti ragionamenti. In primo luogo, secondo i giudici, non è possibile determinare con certezza se la sostanza coltivata sarà personalmente consumata o ceduta a terzi. In secondo luogo, il Testo Unico sugli stupefacenti (Dpr 309/1990) considera la coltivazione come reato autonomo e non vi è una considerazione separata della coltivazione domestica rispetto a quella destinata allo spaccio. Infine, secondo i giudici, la coltivazione ha una sua intrinseca pericolosità, perché contribuisce sempre ad accresce la quantità di sostanza stupefacente presente sul territorio dello stato. Quindi se l’autorità si imbatte in una coltivazione domestica, deve limitarsi ad appurare se la sostanza ricavabile dalla coltivazione sia o meno idonea a produrre un effetto stupefacente, anche a livello minimo. Se la risposta è positiva scatta la sanzione per coltivazione di droghe. Questo vale anche per il vaso sul balcone di casa. E si riscontra il reato anche se si coltivano poche piantine contenenti un principio attivo inferiore al quantitativo massimo detenibile.
ASSOLUZIONE SOLO SE COLTIVAZIONE “TENUE E OCCASIONALE”. La condotta diventa non punibile solo se le piante sequestrate risultano non idonee a produrre alcun effetto psicoattivo rilevabile, mentre “la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua possibilità a produrre un effetto stupefacente anche in quantitativi inferiori alla dose media singola, invece, non ostacolano la punibilità”. E questo principio vale anche se le piante non sono ancora mature, in quanto “la coltivazione è un processo evolutivo punibile in tutte le sue fasi”. Secondo questa interpretazione – che rischia di riportare notevolmente indietro le lancette della giustizia italiana, la quale sembrava in larga parte ormai orientata a interpretazioni maggiormente tolleranti – l’imputato sarebbe non punibile solo nel caso si dimostrasse il fatto come “particolarmente tenue e occasionale” (in ossequio alla legge 28/2015). Se, però, si tratta di un recidivo, anche di singoli fatti tenui, la condotta sarà considerata sempre punibile.