Cannabis in USA: il lavoro dopo l’esplosione della bolla
I benefici della legalizzazione negli Stati Uniti non si sono ancora espressi pienamente, ma già ne vediamo i lati oscuri. La pubblicità del cibo spazzatura Taco Bell utilizza lo stereotipo della “fame chimica”, il “munchie”, per vendere crocchette da canile ai teenager. Lo spot si intitola Late Night Munchies. Vedere per credere. Ma non volevo parlare del tragico ingresso delle agenzie pubblicitarie nell’industria della cannabis statunitense. L’argomento era il lavoro, seconda puntata.
Cambia la legge, nasce un’industria. Per capire meglio dobbiamo risalire alla legge del Colorado del 2010 che delimitava il campo d’azione per gli imprenditori della cannabis legalizzata. Questo è stato il passaggio cruciale dalla coltivazione in cantina all’emersione di una filiera, ancora tutta da organizzare. Le figure giuridiche previste dalla legge erano dispensary, growery, marijuana-infused product manufacturer, laboratory. Per il contrasto al mercato clandestino era prevista un’integrazione verticale dell’industria che imponeva alle rivendite la diretta coltivazione del 70 percento di prodotto. Questo ha creato un bisogno di connessione fra le aziende agricole famigliari, i distributori autonomi, i trasformatori e i rivenditori autorizzati. E le banche. Era il momento in cui gli abitanti del sottobosco della marijuana stremati dalla guerra per la legalizzazione scorgevano al di là del fogliame il color verde dollaro di Wall Street. O meglio, dollari ripuliti e agitati da piccoli gruppi di esploratori assoldati da Wall Street, che dalla guerra fra cannabis e governo federale si era sempre tenuta ben distante. Durante gli incontri preliminari non c’è stato amore a prima vista fra coltivatori e investitori, ma intanto il Marijuana Index si è realizzato.
I primi investimenti si bruciano. Con o senza benedizione di Wall Street, nel 2011 tutti a coltivare cannabis in Colorado e la calda estate di quell’anno ha generato un eccesso di offerta, con la tipica reazione a catena. Caduta dei prezzi al dettaglio, collasso del mercato, impianti nuovi inutilizzati, una scena vista mille volte. Molti matrimoni di interesse fra agricoltori del Colorado e broker di New York si sono rotti insieme ai sogni di denaro facile. Alcune nuove aziende sono esplose dopo il disperato tentativo di dirottare la produzione verso Stati dove la cannabis medica non è ancora legale. Il viaggio, in questi casi, si compie sulle highway da ovest a est con la merce, da est a ovest col denaro. Prede facili per DEA e FBI.
Riparte l’industria. L’esplosione della prima bolla ha fatto emergere una generazione di imprenditori della cannabis probabilmente più saggia e preparata. Ora sanno che i costi di avviamento di una tipica impresa della cannabis medica e ricreativa sono enormi. Si guarda oggi ai prossimi Stati che legalizzeranno la cannabis terapeutica e in Massachusetts serve mezzo milione di dollari depositati in una banca, con relativa linea di credito già aperta. In Connecticut servono due milioni. A fronte di questi investimenti si trova un potenziale di 3.000-10.000 pazienti per ciascun centro di distribuzione al dettaglio. Son da tre a dieci chili venduti in ogni dispensario ogni giorno ed è ovvio che servano direttori ben preparati.
Dal manager al capo coltivatore. Oltre ai dirigenti, le aziende della cannabis medica stanno cercando laureati in discipline agrarie, con una predilezione per l’indoor idroponico. Per ora queste sono le professionalità meglio retribuite nel settore, ma nel precedente articolo abbiamo parlato anche di altri lavori, compresi quelli temporanei. In alcune regioni come Humboldt nel nord California si sono creati così tanti posti di lavoro temporaneo che una buona percentuale di studenti si paga l’università con lavori nell’industria della cannabis. Anche se la maggior parte degli studenti intervistati vede il proprio futuro lavorativo fuori da questo settore, esistono ruoli dove è possibile acquisire competenze riciclabili in altre industrie. Ad esempio il Member Relationship Specialist, figura junior che deve interagire con i membri del social club, come diremmo in Europa, per garantire che ciascuno benefici della migliore esperienza terapeutica grazie ai prodotti e ai servizi del club. Esagerazione forse, ma qui la competizione è già ai massimi livelli, il mercato è sempre più esigente ed essere semplici esperti di coltivazione non è più sufficiente. I dispensary non si contendono più i clienti sulla qualità dell’infiorescenza, ma sull’esperienza complessiva offerta dal brand. E la cannabis è ormai un meta-brand che genera infiniti marchi e prodotti.
Nascono le Big. Dietro la cortina di fumo si scorgono le nuove Coca Cola, alle quali chi se la sente può inviare il curriculum o comprare azioni. Nel settore nutrizionale, Dixie Elixirs è fra le più in vista con un’ampia scelta di bevande, snack e integratori più o meno benefici e psicoattivi. Resta da capire cosa ci sia di benefico in un mix di cannabinoidi e terpeni affogati in zucchero e burro di cacao, ma questo non deve preoccupare nella propria ricerca di lavoro. Tecnici e ingegneri ricordino che le leccornie Dixie vengono prodotte con sistemi come quelli di Apex, che produce estrattori supercritici di oli a CO2, la tecnologia più avanzata per giocare la bella partita legislativa e commerciale sulla garanzia dei contenuti di principi attivi. E poi, grazie all’ingrediente speciale, anche l’industria informatica si prenderà una fetta di torta. Silicon Valley aiuta Green Valley con nuovi sistemi di automazione delle serre e con piattaforme applicative per la gestione dell’intero ciclo di business. Come quelle sviluppate da MJ Freeway o BioTrackTHC che offrono software di gestione della coltura, dell’inventario, del punto vendita e del paziente, con tanto di reportistica per la business intelligence. Servono poi educatori, medici, venditori, comunicatori e ovviamente strateghi del marketing per fare spot di crocchette alla cannabis. Le ultime mosse dei legislatori statunitensi e canadesi orientano decisamente l’industria verso la concentrazione a scapito delle piccole iniziative di produzione artigianale ma non si può ancora prevedere esattamente come evolveranno mercati, regole e professioni in conseguenza del cambiamento culturale. Cominciamo però a capire quali Stati ne traggono già un vantaggio economico e sociale. Non le nostre nazioni europee, che invece continuano a non assumere né personale né responsabilità, preferendo aspettare le nuove coca cola, vitamine o sigarette lanciate da oltreoceano dopo un inevitabile sbarco commerciale in Normandia.