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Cannabis, fake news e post-verità: la grande truffa dell’informazione

Reefer madnessSono passati 80 anni esatti da quando l’America diede il via al Marijuana Tax Act nel 1937, accompagnato da una vergognosa campagna di stampa. Ma le bugie sulla cannabis, almeno quelle create ad arte appositamente per screditare questa pianta agli occhi dell’umanità, iniziarono ben prima.

Erano i primi del 1900 in America quando in Texas e Louisiana iniziarono a diffondersi le piantagioni di cannabis ed i suoi fiori venivano fumati da giovani viaggiatori, dai messicani residenti e dal nascente movimento della musica jazz. Nel 1910 i bollettini della Commissione per la Sanità Pubblica di New Orleans scrivevano ripetutamente che la “marijuana è la più pericolosa sostanza mai apparsa nella zona ed i suoi nefasti effetti possono trasformare i buoni uomini bianchi in neri e cattivi”. Erano gli anni in cui stava iniziando un’ossessiva campagna mediatica che portò nel 1915 al bando di uso e possesso di marijuana a El Paso (Texas), Utah e California, seguiti da altri 14 stati entro il ’29. Per la prima volta la stampa nazionale si occupò della questione, diffondendo le allarmanti notizie fornite dall’appena fondato Federal Bureau of Narcotics (FBN) nel 1930. Harry Anslinger, neo-direttore, iniziò la schedatura di decine di musicisti jazz di colore, fornendo al Congresso regolari relazioni sui pericoli della diffusione dell’uso di cannabis, rea di provocare “musica satanica” e “rapporti sessuali tra donne bianche, negri e messicani”.

marijuana-truthLa campagna di Anslinger e del FBN, appoggiata dal gruppo editoriale di proprietà di W.R. Hearst, portò all’approvazione da parte del Congresso del Marijuana Tax Act. I titoli cubitali dei giornali parlavano di “negri che violentano donne bianche sotto l’effetto della marijuana” e di numerosi incidenti automobilistici causati dall’ “erba assassina”. Documentari come Refeer Madness e Marihuana, the Assassin of Youth, vengono proiettati nelle scuole. Usando in modo ripetivo e persuasivo l’oscuro termine slang messicano, la parola marijuana viene così introdotta per la prima volta nel lessico inglese, cancellando dalla memoria collettiva i termini molto più familiari di cannabis e hemp. Intanto, accanto alle bugie sulla cannabis si palesano gli interessi industriali di chi era interessato a cancellare questa pianta dalla faccia della terra.

AssassinJack Herer racconta in “The Emperor wear no clothes” che: “Dal 1935 in poi il Bureau ha attivamente ri-scritto la storia della canapa demonizzando la cannabis, un’attività innescata dall’avidità monopolistica e dall’insicurezza economica di alcune industrie finanziariamente minacciate”. Il “Bureau”, al quale si riferiva era il Federal Bureau of Narcotics (FBN), che operava sotto il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. A quel tempo il segretario del Tesoro era Andrew Mellon, un potente industriale ben noto al tempo per la sua attività di lobbista. Fu proprio lui a nominare Henry Anslinger (il marito di sua nipote) a capo del FBN; e Anslinger non perse tempo: l’Ufficio di presidenza creò l’ormai celebre Marihuana Tax Act che pose tutti i coltivatori di canapa sotto il controllo dei regolamenti del dipartimento del Tesoro per limitare e, infine, vietare la coltivazione e la produzione.

La situazione italiana
In Italia fu il Fascismo ad inaugurare la lunga stagione del proibizionismo, i cui strascichi si trascinano fino ad oggi. Negli anni trenta infatti il regime fascista di Benito Mussolini dichiarò l’hashish “nemico della razza” e “droga da negri”, dando così l’avvio ad una campagna nazionale contro una sostanza poco nota in Italia, usata sporadicamente solo da alcuni medici. Nel 1931 Giovanni Allevi dava alle stampe un libro studiato poi dai laureandi in medicina degli anni della guerra, Gli Stupefacenti, dove la tossicomania veniva presentata come un problema razziale.
Il primo intervento legislativo italiano in materia di stupefacenti fu la legge n.396/1923, “Provvedimenti per la repressione dell’abusivo commercio di sostanze velenose aventi azione stupefacente” che puniva, con pene detentive brevi, la vendita, la somministrazione e la detenzione di tali sostanze da parte di persone non autorizzate nonché, con una multa, la partecipazione “a convegni in fumerie” adibite all’uso di stupefacenti. Successivamente, la legge n.1145/1934 contenente “Nuove norme sugli stupefacenti”, introdusse il “ricovero coatto” dei “tossicomani” in “case di salute”.

Le bufale recenti
Nel nostro Paese, anche in anni recenti, le bugie, falsità ed inesattezze sulla cannabis vengono spesso riprese e riportate dai media mainstream, che sia per superficialità o per mal celata voglia di disinformare poco importa, visto che l’effetto è lo stesso. Dalla questione dell’Amnesia su cui ha sguazzato un po’ tutta la stampa nazionale, a quella della cannabis Ogm (qui e qui un paio di esempi) per arrivare al “coma per overdose di hashish” o alla terribile nuova e devastante droga, nientemeno che il THC, andata in onda sul TG3 regionale del Piemonte, gli esempi non mancano. Smentirle serve per segnalare ciò che accade, ma quando certe notizie iniziano a girare, il danno ormai è già stato fatto. Per Giulio Andreotti la smentita “è una notizia data due volte”, una verità fatta propria da Silvio Berlusconi pochi anni più tardi al quale non importava che i concetti che ripeteva ossessivamente dalle sue televisioni fossero veri o meno, perché con la ripetizione sarebbero diventati veri per le persone che ascoltavano, anche se non lo erano affatto.

Cannabis, fake news e post-verità
Oggi, catapultati in questo mondo che di colpo ha scoperto la “post-verità“, non è poi cambiata di molto la situazione. Frottole, bugie, bufale, falsità e fake news ci sono sempre state, la differenza è che con internet, per le istituzioni che hanno sempre cercato di controllare e dirigere l’informazione, il compito è ormai quasi impossibile.
La seconda constatazione è che le fake news create ad arte, come ad esempio quelle che leggiamo da un secolo sulla cannabis, sono ben differenti dalle semplici bugie. Come ha raccontato Laurie Penny su l’Internazionale, “Secondo il filosofo statunitense Harry Frankfurt, la differenza tra un bugiardo e un artista della stronzata è che il bugiardo ha un minimo di rispetto per la verità. Il bugiardo sa bene qual è la realtà, ma vuole che chi lo ascolta creda il contrario. All’artista della stronzata, invece, la verità non interessa: ha rinunciato alla cittadinanza di quella che l’amministrazione Bush aveva goffamente definito “la comunità basata sulla realtà”. Il bugiardo vuole nascondere la verità, mentre l’artista della stronzata vuole distruggere il concetto stesso di verità, non vuole ingannare ma solo confondere e controllare”.

In Italia una delle prime prese di posizione è stata quella del presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, che in un’intervista al Financial Times, ha affermato che “contro la diffusione delle false notizie serve una rete di organismi nazionali indipendenti ma coordinata da Bruxelles e modellata sul sistema delle autorità per la tutela della concorrenza, capaci di identificare le bufale online che danneggiano l’interesse pubblico, rimuoverle dal web e nel caso imporre sanzioni a chi le mette in circolazione”.
La prima reazione è arrivata da Beppe Grillo, che, in un post sul suo blog intitolato “Post verità Nuova inquisizione” attacca i “nuovi inquisitori” che “vogliono un tribunale per controllare il web e condannare chi li sputtana”.
Per il presidente dell’Antitrust la soluzione sarebbe dunque una sorta di ministero della Verità, come quello vagheggiato da George Orwell in 1984. Ma chi controllerebbe il controllore? E chi controlla che, come nel caso della cannabis, non stia giocando sporco per fare i propri interessi?

 

 



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