Terapeutica

Cannabis efficace nella fibromialgia, nuova conferma scientifica

Nuovo studio israeliano conferma l'efficacia della cannabis nella terapia contro il dolore cronico o fibromialgia

Donna mora, vestita di bianco e seduta, sembra provare intenso dolore agli arti e si tocca una spallaUna nuova conferma scientifica dell’efficacia della cannabis nel trattare una patologia complessa come la fibromialgia è arrivata da un recente studio israeliano.

La fibromialgia, altrimenti detta sindrome fibromialgica, è una patologia caratterizzata da un dolore muscoloscheletrico diffuso, unito all’affaticamento o astenia e la cannabis si è dimostrata una volta di più efficace nel contrastare il dolore cronico e nel migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Come oltretutto testimonia uno dei luminari nell’utilizzo della cannabis terapeutica nel dolore cronico in Italia, il Dott. Marco Bertolotto, meno del 30% dei pazienti fibromialgici risponde alle terapie classiche (Duloxetina, Pregabalin, Tramadolo, Amitriptillina, Ciclobenzaprina), tanto da averlo indotto a far diventare la cannabis il medicamento di prima scelta nella sua esperienza clinica.

LO STUDIO ISRAELIANO SULLA FIBROMIALGIA

Il dottor Oded Hershkovich, del Dipartimento di Chirurgia Ortopedica del Wolfson Medical Center (affiliato alla Sackler School of Medicine, Tel Aviv, Israele) di Holon, e altri ricercatori del suo team, hanno pubblicato lo scorso novembre uno studio che evidenzia l’efficacia nel trattamento del dolore cronico con cannabis medica.

Lo studio, dal titolo: “The role of cannabis in treatment-resistant fibromyalgia women“, ovvero: Il ruolo della cannabis nelle donne con fibromialgia resistenti ai trattamenti, mirava a definire l’impatto dell’inizio del trattamento con cannabis sulla qualità della vita nelle donne che soffrono di fibromialgia resistente ai trattamenti tradizionali.

I METODI UTILIZZATI NELLO STUDIO

Si è trattato di uno studio prospettico di coorte che ha coinvolto 30 donne di età compresa tra 18 e 70 anni con diagnosi di fibromialgia e trattamento farmacologico fibromialgico terminato, che ha iniziato il trattamento con cannabis. Sono state escluse le donne in gravidanza.

Questo studio mirava a utilizzare il questionario Bref sulla qualità della vita dell’Organizzazione mondiale della sanità (WhoQoL-bref) per connotare l’impatto dell’inizio del trattamento con cannabis sulla qualità della vita nelle donne che soffrono di fibromialgia resistente al trattamento. Il questionario è stato compilato prima dell’inizio del trattamento con cannabis e un mese dopo il trattamento.

I RISULTATI DELLO STUDIO SUL DOLORE CRONICO

Come leggiamo nello studio: “Le pazienti con fibromialgia resistenti al trattamento si sono presentate alla clinica del dolore con una scarsa qualità generale della vita […], condizioni di salute generali scarse […], alto livello di dolore e disagio e dipendenza dai farmaci […].

Presentavano anche una riduzione delle attività della vita quotidiana […]. Allo stesso tempo, i fattori ambientali, come i trasporti, l’ambiente fisico, l’accesso all’assistenza sanitaria e sociale e le risorse finanziarie, erano relativamente elevati […], suggerendo il contributo della morbilità correlata alla fibromialgia invece dei vincoli ambientali.

Il trattamento con cannabis nella fibromialgia […] ha mostrato un netto miglioramento della qualità della vita in generale […] e un miglioramento della salute in generale […]. Il trattamento con cannabis ha anche migliorato il punteggio riguardante la salute fisica […] una riduzione […] del dolore e del disagio […], dell’affaticamento […] e un miglioramento […] nelle attività della vita quotidiana […].”

I PUNTI SALIENTI DA EVIDENZIARE

In conclusione lo studio suggerisce un ruolo potenzialmente benefico della cannabis nelle donne con fibromialgia resistenti ai trattamenti tradizionali e può avere un effetto benefico a breve termine sulla qualità della vita attraverso il suo impatto sul dolore, sul sonno e sul piano fisico e psicologico.

Suggerisce altresì che ulteriori studi siano ancora indicati per comprendere questo potenziale e il suo impatto a lungo termine e che ulteriori studi epidemiologici dovrebbero prendere in considerazione fattori che potrebbero confondere i risultati come l’indice di massa corporea, la presenza di ansia, depressione, disturbi della personalità, problemi medici cronici e l’uso di vari farmaci di uso comune.

Una cosa però è certa, come mi disse il dottor Bertolotto durante la nostra prima intervista assieme: “Questa pianta impone ai medici di cambiare il proprio approccio, utilizzando una visione più olistica e personalizzando la terapia sulla base dei risultati e delle esigenze del paziente”.



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