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Cannabis di stato: il primo raccolto italiano è da buttare? Arriva la smentita

Un'immagine della lavorazione della cannabis all'interno dello Stabilimento farmaceutico militare di Firenze
Un’immagine della lavorazione della cannabis all’interno dello Stabilimento farmaceutico militare di Firenze

«Smentisco categoricamente che il raccolto di cannabis sia andato male, anzi è stato approvato ed è già stato stoccato in confezioni da 5 grammi pronte per la spedizione alle farmacie non appena arriverà l’autorizzazione tecnica da parte del Ministero della Salute, presumibilmente entro un mese». Con queste parole Antonio Medica, direttore dello Stabilimento farmaceutica militare, che abbiamo raggiunto telefonicamente, smentisce le indiscrezioni pubblicate ieri dalla rivista Il Test.

Secondo quanto riportato da Il Test la cannabis prodotta dallo Stabilimento farmaceutico militare di Firenze era stata bocciata alle analisi in quanto la percentuale di THC prodotta dalle infiorescenze non era conforme alle previsioni e quindi era stata avviata al macero, sancendo il fallimento del primo raccolto di cannabis legale italiano, allestito allo scopo di rifornire le farmacie per i malati che ne hanno diritto e che ad oggi sono costretti ad importare il farmaco dall’Olanda sopportando lunghi tempi di attesa ed alti costi.

Medica smentisce categoricamente: «non so chi abbia fatto girare la notizia, ma è del tutto falsa». Dello stesso tenore anche le dichiarazioni di Gianpaolo Grassi, primo ricercatore del CRA di Rovigo, l’ente di ricerca statale che ha selezionato le varietà di cannabis a uso medico attualmente in produzione a Firenze: «I tre cicli di sperimentazione previsti si sono conclusi e hanno dato esito positivo e allo Stabilimento farmaceutico militare hanno già stoccato la cannabis in circa duemila confezioni da 5 grammi cadauna, che verranno consegnate alle farmacie non appena concluse le pratiche burocratiche previste».

Allo Stabilimento militare di Firenze sono in produzione due varietà di cannabis terapeutica. La prima è un equivalente del Bediol, cioè cannabis con un rapporto 1:1 tra la concentrazione dei principi attivi THC e CBD, ed è quella che ha già concluso la sperimentazione ed è pronta per arrivare sui banchi delle farmacie. La seconda varietà è invece un equivalente del Bedrocan, medicinale con una forte concentrazione di THC (di poco inferiore al 20%) ed ha da poco terminato il primo ciclo di sperimentazione sui tre previsti, con l’obiettivo di essere pronta per la distribuzione nel 2017.

Entrambe le varietà stanno venendo coltivate con le talee fornite dal CRA e selezionate con l’obiettivo di ottenere prodotti quanto più simili possibile ai due farmaci di produzione olandese, per garantire così la continuità terapeutica a tutti i malati che la stanno utilizzando.

L’unico problema che pare ci sia stato nella coltivazione riguarda il primo ciclo di sperimentazione della varietà simil-Bedrocan, che ha effettivamente mostrato alcuni problemi nella concentrazione di THC ottenuta. Come confermato da Gianpaolo Grassi: «Si tratta di una tipologia di cannabis di difficile lavorazione perché non è semplice selezionare e pulire le infiorescenze nel modo giusto in varietà a così alta concentrazione di principio attivo, per questo anche l’azienda olandese che produce il Bedrocan effettua la lavorazione a mano. A Firenze, per far fronte ai costi di questa fase e ai limiti di budget imposti, hanno tentato invece di utilizzare un macchinario apposito, con risultati non del tutto soddisfacenti. Tutti i dati stanno venendo analizzati e serviranno per correggere gli errori nelle prossimi due cicli di sperimentazione previsti, come è normale che sia».

In conclusione, è probabile che all’interno della redazione de Il Test, che citava come fonte delle proprie informazioni non meglio specificate «voci informali», abbiano fatto confusione tra le due varietà in produzione finendo così per fornire una notizia sbagliata.



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