Cannabis: con la produzione italiana torna la caccia alle streghe
Eccoci qui ad analizzare l’ennesimo articolo che invece che tentare di informare i lettori, si dedica a fare del sano terrorismo psicologico, partendo da una tesi preconfezionata e tentando in modo maldestro di dimostrare che “si vanno moltiplicando le segnalazioni di morti associate all’uso di cannabis”.
E’ apparso nei giorni scorsi su lastampa.it a firma di Gaetano di Chiara, vice presidente dell’associazione Gruppo 2003 e professore di Farmacologia e Farmacoterapia presso l’Università di Cagliari, che anni fa aveva già cercato di dimostrare un’affinità tra cannabis ed eroina riguardo agli effetti che queste sostanze hanno sul nostro cervello, pur essendo costretto ad ammettere nelle conclusioni dello studio che i loro dati “non forniscono nessuna evidenza diretta” per un nesso causale nel consumo delle due sostanze; ma, come ha già fatto notare Fuoriluogo.it qui il pregiudizio si rivela più forte di ogni evidenza scientifica, non sanno rinunciare a definirli “coerenti con questa possibilità”.
Nonostante svariati tentativi di farli passare come tali ad oggi non è mai stato registrato un solo caso di morte legato ad overdose di THC o altri cannabinoidi, e abbiamo più volte spiegato come la cannabis sia una sostanza notevolmente atossica rispetto a molte medicine comuni che vengono prescritte a milioni di persone.
LA VERITA’ SUI RISCHI CARDIOCIRCOLATORI. L’articolo si apre facendo riferimento ad uno studio apparso sulla rivista dell’associazione dei cardiologi americani (American Heart Association) che sicuramente offre uno spunto interessante, ma va interpretato con attenzione. Che la cannabis possa aumentare la frequenza cardiaca è una cosa nota, ma la maggior parte degli individui tollerano questo effetto. I ricercatori hanno analizzato specificamente un database francese dove i medici sono tenuti per legge a segnalare ogni caso legato all’uso di droghe che secondo loro “porta a incapacità funzionale temporanea o permanente o disabilità, ospedalizzazione per pazienti ricoverati o prolungamento del ricovero in corso, ad anomalie congenite, o per un immediato rischio vitale o morte”. Hanno poi cercato i consumatori di cannabis e hanno trovato ombre su meno di 2.000 pazienti negli ultimi 5 anni. E’ impossibile sapere che cosa significa quel numero senza conoscere il numero di persone che hanno visto questi medici o quanti pazienti hanno usato la cannabis e non sono stati segnalati in questo database. Poi, tra questi 2mila, ne hanno individuati 35 che hanno avuto problemi cardiaci.
QUELLO CHE MANCA PER UNO STUDIO SCIENTIFICO. Ancora una volta è impossibile interpretare questo numero senza conoscere il numero dei consumatori di cannabis in Francia, che secondo gli autori dello studio è di 1,2 milioni di persone. Se si divide 1,2 milioni per 35 si ottiene circa 0,00003. In tutto questo, come faceva notare un articolo dell’’associazione NORML, si deve supporre che non tutti i consumatori di cannabis siano andati dal medico e non tutti coloro che hanno usato cannabis e hanno avuto complicazioni cardiache l’abbiano confessato ad un medico, quindi dando ai proibizionisti il beneficio del dubbio e moltiplicando per 100 il numero ottenuto prima, otteniamo comunque uno 0,003. Se queste sono le probabilità di avere complicazioni cardiache come utente di cannabis francese, il primo pensiero è che l’utilizzo di cannabis protegge le persone da problemi cardiaci. Abbiamo bisogno di un gruppo di controllo di persone che non usano la cannabis per conoscere il loro tasso di problemi cardiaci, ma, come sottolineano gli autori, noi semplicemente non abbiamo tali dati. “In breve – conclude l’articolo di NORML – questo studio ci dice molto su che tipo di complicazioni cardiache sono apparse in persone che sono state segnalate al governo francese per problemi legati alla cannabis, ma ci dice poco sul legame tra uso di cannabis e le malattie cardiovascolari”.
LA CANNABIS PIU’ PERICOLOSA DELL’ALCOOL? Per la stragrande maggioranza delle persone la marijuana pone un rischio fisiologico minimo, soprattutto se paragonata ad alcool e sigarette, che causano decine di migliaia di morti cardiache ogni anno (in questo senso la cannabis è stata indicata in vari studi perché può ridurre i danni causati dall’alcool a cervello e fegato, oltre ad essere indicata come sostanza potenzialmente adatta a curare l’alcolismo e altre gravi dipendenze). Secondo uno studio del 2009 pubblicato su American Scientist sulla tossicità relativa di droghe ricreative, consumandone 10 volte una dose “efficace”, l’alcool è potenzialmente fatale, mentre un utente avrebbe bisogno di ingerire 1.000 volte la dose efficace di marijuana per rischiare la morte. Ma per l’autore del nostro articolo, “l’alcool a queste dosi (usate a scopo ricreazionale) produce lieve euforia”.
LA CANNABIS SAREBBE UN CATTIVO FARMACO? La seconda sparata degna di nota contenuta nell’articolo è che “qualsiasi farmacologo avrebbe fatto presente ai ministri «competenti» che i principi della cannabis, i cannabinoidi, hanno caratteristiche che li rendono i peggiori farmaci per uso terapeutico. Si assorbono dopo ore per via orale e ancora più lentamente vengono eliminati. L’unica via di somministrazione che consente un rapido assorbimento è quella inalatoria. Ma questa via è inaccettabile per l’uso terapeutico, dato che non consente un dosaggio prevedibile ed è associato all’assunzione di composti cancerogeni”. L’unica verità contenuta in questa frase è che la cessazione degli effetti della cannabis sull’uomo avvenga gradualmente. Il THC nell’uomo ha quello che si definisce un metabolismo lento, caratteristica che impedisce a questa sostanza di portare a crisi d’astinenza, tant’è che la letteratura scientifica è unanimemente concorde nell’escludere l’esistenza stessa di una sindrome d’astinenza da cannabis nell’uomo. Se il dottore avesse fatto un giro in internet, avrebbe facilmente scoperto come ci siano centinaia e centinaia di farmacologi, dottori e scienziati, che spiegano come i cannabinoidi siano la nuova frontiera della medicina. Non abbiamo qui lo spazio per raccontare quali siano quelli principali e quali proprietà benefiche abbiano, potete fare tranquillamente delle ricerche sul nostro o su altri siti e trovare articoli scientifici dettagliati in abbondanza.
VERE BUGIE ALIMENTATE DA PREGIUDIZIO E IGNORANZA. Poi ci sono due bugie vere e proprie e cioè che l’inalazione non consenta un dosaggio specifico e sia associato all’assunzione di composti cancerogeni. A detta di molti esperti a livello mondiale, tra i quali il dottor Grinspoon, noto psichiatra statunitense e professore emerito dell’Università di Harvard che abbiamo avuto l’onore di intervistare per il secondo numero della rivista cartacea, di cui vi riportiamo le parole: “Una delle grandi qualità mediche del fumare o vaporizzare sta nel fatto che il paziente può calcolare il dosaggio con precisione l’inalazione di cannabis viene percepita così rapidamente che il paziente può smettere quando ha diminuito con successo i propri sintomi”. Riguardo all’assunzione di composti cancerogeni potete innanzitutto controllare pareri e studi di illustri pneumologi come il dottor Tashkin che spiegano come il tabacco sia infinitamente più dannoso della cannabis, che non influisce sullo sviluppo di cancro al polmone. Se nell’articolo ci si riferisce alle sostanze cancerogene derivanti dalla combustione, non si può non ricordare come per l’assunzione terapeutica i medici consiglino l’utilizzo del vaporizzatore, che non solo permette di assumere i cannabinoidi e i principi attivi in maniera più pura, ma elimina anche tutti i prodotti nocivi della combustione, portando i polmoni ad assumere semplicemente vapore.
LA STAMPA SI DEVE RIALLINEARE CON I MEDIA DI REGIME? Non abbiamo capito il motivo di questa pubblicazione, soprattutto perché La Stampa stava seguendo, dando ampio spazio, le vicende relative agli sviluppi della situazione sulla cannabis terapeutica nel nostro Paese. Ci viene però il dubbio che sia stato pubblicato per “rientrare nei ranghi”. Qui non si tratta di pluralismo dell’informazione, o di dar voci a opinioni; qui si tratta del tentativo di spaventare i lettori. Come se si avesse paura a spiegare con tranquillità che la cannabis possa essere un farmaco utile per migliaia di persone e per avere la coscienza a posto agli occhi della politica e del mondo dell’informazione si sia costretti a non sbilanciarsi troppo. Un po’ come dire: “Ok, la cannabis può anche fare bene, ma per non sbagliare continuiamo a raccontarvi che è un farmaco inefficace e che uccide le persone, sapete, nella vita, non si sa mai”.
Infine una considerazione generale: secondo l’autore dell’articolo l’idea di coltivare in Italia la cannabis per produrre i farmaci derivati serve solo per “nascondere l’intera questione sotto una coltre di fumo”. Ricordiamo a tutti che in Italia le cure con i derivati dalla cannabis sono autorizzate dal 2007, come in tutto il resto dei paesi civili. Con la produzione italiana non si vuole alzare nessuna coltre di fumo, ma semplicemente sfruttare le competenze dello stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze per fare in modo che i farmaci che già vengono distribuiti non siano più importati dall’Olanda, facendo in questo modo risparmiare i pazienti e il Sistema Sanitario Nazionale.