Trovati con la cannabis: 14enni espulsi dalle scuole Medie. È educazione questa?
Due ragazzi di terza media, un maschio e una femmina di appena 14 anni. Tra i banchi della scuola Don Rinaldo Beretta di Giussano (Monza e Brianza), mentre il professore è girato verso la lavagna, lui passa a lei una bustina. I compagni di classe avvisano il professore che va a controllare: dentro il piccolo involucro una piccola quantità di cannabis. Succede il finimondo.
Il professore avvisa la vicepreside che a sua volta chiama i carabinieri. I due quattordicenni, accompagnati in caserma con le famiglie, vengono denunciati. La vicenda poi viene posta all’attenzione del consiglio d’istituto. Dopo qualche ora di discussione arriva il verdetto, spietato: espulsione e bocciatura automatica con l’esclusione dagli esami di terza media. I due ragazzi devono perdere l’anno, rimanere in strada fino al prossimo settembre (gli è stato vietato l’ingresso a scuola), e nel frattempo essere trattati come persone con problemi di droga dopo la segnalazione. Inoltre non è chiaro se il ragazzo è anche accusato o meno di spaccio. Per la preside Silvana Varenna «una decisione giusta, presa per il loro bene, perché per i ragazzi seguire un percorso che li aiuti a riflettere è più importante della licenza media».
Ha senso tutto questo? Crediamo veramente che escludere dei ragazzini di 14 anni da scuola, e additarli pubblicamente come mele marce da allontanare dal resto dei coetanei servirà «a farli riflettere». O piuttosto si corre il rischio di emarginarli, spingendoli così ai margini e ottenendo l’effetto contrario da quello educativo che si dice di voler perseguire?
Per fortuna il dubbio se lo è posto anche il sindaco del piccolo paese brianzolo, Matteo Riva. Il trentaduenne primo cittadino ha criticato la decisione del Consiglio d’Istituto e ha annunciato che sta valutando la possibilità di aiutare i due ragazzi a presentarsi all’esame di terza media come privatisti. «Capisco il timore degli altri genitori – ha dichiarato – ma la scuola è inclusione, anche in presenza di comportamenti erronei. Così rischiamo di etichettare i due ragazzi come persone sbagliate, ma invece hanno il diritto di dimostrare di aver compreso l’errore».