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Canapa: uno sfregio allo stato di diritto che rischia di stritolare il settore

Nel Paese in cui tutto cambia per rimanere com’è, l’avvocato Zaina mette in fila gli atti di “arrogante debolezza legislativa” del governo nei confronti della canapa

Canapa: uno sfregio allo stato di diritto che rischia di stritolare il settoreScorrono le settimane ed i mesi, ma la situazione della canapa in Italia rimane immutata ed immutabile.

Da una parte un governo che pare ossessionato, nelle sue forze politiche più esposte, dalla canapa, ritenuta il male assoluto e per tale motivo esposta ad ogni sorta di iniziativa normativa, anche la più assurda, contraddittoria – ai limiti di una vera e propria illegalità – purché repressiva.

Dall’altro le associazioni di categoria che tentano di fare la voce grossa, ma che, nonostante tutto l’impegno possibile, non riescono ad arginare una deriva, di cui, in precedenza, ben difficilmente, siamo stati spettatori. L’azione repressiva si muove rapida ed a tenaglia, con due lame assai appuntite e complementari tra loro.

DECRETO CBD: UNO SFREGIO ALLO STATO DI DIRITTO

L’una consiste nella riproposizione dell’ennesimo decreto ministeriale, da parte del Ministero della Salute, che – pur in pendenza del giudizio di merito del TAR del Lazio ed in presenza di un’ordinanza di sospensione dell’efficacia di un precedente, quanto sufficientemente analogo decreto – inibisce l’uso di prodotti a base di CBD. A prescindere dalla fatuità ed incertezza degli elementi di novità, che – a ben singolare avviso del Ministero – giustificherebbero tale spregiudicata iniziativa legislativa, appare evidente lo spregio che la PA abbia – quando lo ritiene possibile – delle decisioni della magistratura.

Non appartengo a quella categoria di sostenitori giacobini dei giudici, anzi ho sempre assunto posizione critiche verso estemporanee posizioni degli organi inquirenti e giudicanti, ma credo che – soprattutto da parte di emanazione importanti della P.A. – si debba nutrire rispetto per i provvedimenti giurisdizionali. Così non è e non è stato, perché la scelta di riproporre il divieto di commercializzazione del CBD, sulla base di presunte evidenze scientifiche nuove, che, invece, tali non sono e, comunque, non attendendo il giudizio di merito relativo ad un decreto che presenta fortissime analogie (quale pregresso) con quello testè emesso, costituisce uno sfregio, un vulnus gravissimo allo Stato di diritto. Si tratta di una condotta che è passata sotto traccia e che non è stata sottolineata come avrebbe dovuto meritare.

Il Ministero (espressione del potere esecutivo) si è atteggiato, nella fattispecie, a novello Marchese del Grillo ed ha assunto tale posizione – ex se inammissibile già verso chiunque – addirittura nei confronti del potere giudiziario, scavalcando e svuotando totalmente di significanza un provvedimento di quest’ultimo, che – evidentemente – non era gradito.

È stato un atto di arrogante debolezza legislativa, cui, però, non si è opposto un fronte forte associazionistico e di opinione pubblica, che – al di là di una reale compattezza di intenti – abbia segnalato i pericoli di una scelta ai limiti dell’eversivo.

Solo qualche isolata voce del sen fuggita (Metastasio perdonerà l’ardire).

L’EMENDAMENTO DELLA DISCORDIA

L’altra è data dall’emendamento di vietare ogni forma di coltivazione anche – e soprattutto – quella concernente la canapa light, a prescindere da qualsiasi valore di THC presente nelle piante coltivate.

Canapa: uno sfregio allo stato di diritto che rischia di stritolare il settoreChe la coltivazione di canapa sia una condotta sgradita alla compagine governativa prevalentemente per astratti motivi ideologici (le pacifiche evidenze scientifiche vengono, però, eluse dai proponenti l’emendamento forse anche per una carenza genetica di preparazione e di comprensione della materia da parte di costoro) è pacifico.

La scelta di un divieto tout court dell’attività coltivativa, oltre a platealizzare la crassa ignoranza del tema tossicologico di molti sostenitori della stretta, appare irragionevole perché finisce, soprattutto, per penalizzare immotivatamente l’imprenditoria agricola di settore.

L’inserimento all’interno del DDL sicurezza, che è divenuto, ormai ricettacolo di qualsiasi pulsione giustizialista, esercitata sulla base di non meglio specificate ragion idi tutela della collettività, maschera una strategia di progressiva stretta, che già si è manifestata nell’aumento delle pene edittali per l’ipotesi di reato della lieve entità (73/5°).

Tale intervento è apparso illogico in una fase in cui si cerca di deflazionare il carico dei processi, in quanto ha escluso il reato in questione dall’ambito di applicazione della messa alla prova, istituto che aveva assunto una funzione di utile valvola di sfogo, per le soluzioni di vicende di natura obbiettivamente modesta, come appare un fatto od una condotta riconducibile all’ipotesi della lieve entità.

Non a caso il GM di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione alla mancata possibilità di applicazione della messa alla prova – riconosciuta anche per reati di maggiore gravità – per fatti qualificati come di lieve entità.

In mezzo a queste due taglienti lame ecco l’universo della canapa e della cannabis, che rischia di venire stritolato con conseguenze irreparabili e devastanti.

È, quindi, assai triste constatare che, mentre paesi rispetto ai quali abbiamo sempre pregiudizialmente canzonato atteggiamenti differenti dal nostro sentire (vedi su tutti la Germania) dimostrano intelligenti aperture e soluzioni all’uso della canapa, in Italia (una nazione che si compatta e trova la sua identità unitaria solo per eccezionali eventi sportivi e che si ritiene troppo spesso paradiso di furbizia) nulla muta, o meglio tutto muta per non mutare in concreto. Tomasi Di Lampedusa docet.



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