La canapa ci salverà: il nuovo libro di Matteo Mantero
Un viaggio tra il passato e il futuro di questa pianta, che tra tabù, sfide politiche e sogni di rivoluzione potrebbe salvare il mondo
Da onnipresente a proibita. Come si è passati dal quasi venerare la canapa, presente in ogni aspetto della società, a disprezzarla come la “droga del demonio”?
No, non è un caso. Dietro c’è una storia ben più travagliata, che vede un gruppo di “uomini potenti” unirsi per i loro loschi affari, messi alle strette da una pianta millenaria che andava proibita. Sebbene questo significasse sacrificare buon senso, risorse e vite.
Matteo Mantero, ex senatore, attivista e autore di “Una pianta ci salverà”, ha fatto della sua voce e delle sue azioni un’arma per ridare alla canapa il posto che merita: tra le risorse più preziose del nostro pianeta.
Ma cosa si cela dietro la sua proibizione? E perché, ancora oggi, “i potenti” la vogliono vietata? Scopriamolo in un viaggio emozionante che intreccia il passato e il futuro (si spera più verde) di questa pianta.
GREENTOPIA: L’UTOPIA VERDE DELLA CANAPA PER MATTEO MANTERO
Il titolo del suo libro è “Una pianta ci salverà”. Ma da cosa ci deve salvare esattamente? E in che modo la canapa può diventare la nostra ancora di salvezza?
La canapa ci ha dato tanto, per millenni. È stata tra le prime piante addomesticate dall’uomo, insieme al grano, e ci ha letteralmente sfamato, vestito, curato. Ma aveva un grande “difetto”: era di tutti. Chiunque poteva coltivarla e trarne beneficio e questo metteva a rischio gli interessi di chi qui benefici voleva brevettarli per trarne profitto.
Credo che la canapa dovrebbe salvarci prima di tutto da noi stessi, dall’ossessione del profitto fine a sé stesso, che spesso va a discapito del bene comune. Ripercorrere la storia della canapa e del proibizionismo ci offre una chiave di lettura molto chiara del mondo in cui viviamo.
Qual è, secondo lei, il più grande mito sulla canapa che ancora oggi la gente si ostina a credere?
Che sia illegale perché è una “droga”. La realtà è diversa: è stata resa illegale perché minacciava gli interessi dell’industria petrolifera. Eppure, sono bastati novant’anni di falsità per cancellare millenni di storia e consolidare questo paradigma: canapa uguale droga, uguale sballo.
Non solo chi ne fa un uso personale, “ludico” come viene comunemente definito, ma anche i pazienti in terapia con cannabis prescritta regolarmente sono discriminati, così come gli agricoltori.
Nonostante il suo impegno e quello di altri parlamentari, durante la vostra esperienza di governo non siete riusciti a incidere sulle politiche ad uso adulto o sul settore della cannabis light: avreste potuto fare di più?
Lo avremmo voluto. Posso tranquillamente affermare di averci provato in tutti i modi, fino a far mancare il mio voto su provvedimenti importanti. Lo stigma nei confronti della pianta è però ancora molto forte. Abbiamo incontrato ostruzionismo da ogni fronte, persino sulla canapa industriale.
Come racconto nel libro, i miei emendamenti per regolamentare il mercato della canapa light sono stati prima respinti (dichiarati inammissibili) dalla presidente del Senato dopo l’approvazione in Commissione Bilancio e poi bocciati dalla stessa maggioranza, nonostante avrebbero portato nuove entrate per quasi un miliardo di euro.
Francamente, non so cosa avrei potuto fare di più. Una cosa è certa: il mio impegno, e quello dei pochi che sostenevano il tema, non è stato sufficiente.
Ha mai ricevuto pressioni o minacce per il suo impegno a favore di questa pianta?
Non parlerei di vere e proprie minacce, ma sì, le pressioni ci sono state, soprattutto durante il governo Conte I, sostenuto dalla maggioranza giallo- verde. Il mio gruppo parlamentare (il M5S) non ha mai appoggiato e tanto meno spinto la mia proposta, nonostante facesse parte del programma. Il tema era considerato scomodo, rischiava di incrinare gli equilibri della maggioranza.
Per questo ho sempre agito di iniziativa personale, sia sul piano legislativo che comunicativo. Anzi, sono stato più volte ripreso per le mie “fughe in avanti”, fino al richiamo al Collegio dei Probiviri. Anche l’altro partito di governo non è stato da meno. Il ministro Salvini ha più volte pubblicato post irridenti nei miei confronti sui suoi canali social, scatenando una pioggia di insulti dai suoi sostenitori. Curiosamente, però, il commento più diffuso sotto quei post era: “Capitano, sulla canapa sbagli”.
L’ostilità verso la canapa è più una questione di ignoranza o di interessi economici?
Anche di questo scrivo nel mio libro. Nel nostro Parlamento, sicuramente prevale l’ignoranza: il tema è considerato ideologico da entrambe le parti, e i fatti, i dati, i numeri non vengono minimamente presi in considerazione nel dibattito.
Ma anche chi non ha preclusioni verso la pianta e la regolamentazione del suo utilizzo spesso non la considera una priorità o, peggio, la vede come un argomento “scivoloso”, da evitare come la peste.
Ovviamente, gli interessi economici sono stati all’origine del proibizionismo. Oggi, però, paradossalmente, è proprio l’aspetto economico a spingere molti Stati a regolamentare il mercato della cannabis.
Se potesse obbligare chiunque a leggere un capitolo del suo libro, quale sarebbe e perché?
Senza dubbio il primo capitolo, che racconta la nascita del proibizionismo e il pregiudizio sulla canapa. Lo considero fondamentale, non solo per comprendere finalmente le reali motivazioni dietro lo stigma che, dopo quasi novant’anni, ancora persiste, ma anche perché rappresenta un esempio emblematico di come il potere economico agisca – allora come oggi – manipolando l’opinione pubblica per sottrarre una risorsa alla comunità a vantaggio di pochi.
Se dovesse immaginare l’Italia tra vent’anni con una filiera della canapa fiorente, che scenario vedrebbe? Cosa cambierebbe nella vita quotidiana delle persone?
Ho provato a immaginare questo scenario nel mio libro, l’ho chiamato Greentopia, l’utopia verde della canapa. Se l’oro verde avesse vinto la guerra contro l’oro nero, non saremmo costretti a perforare la terra alla ricerca di energia, liberando in atmosfera la CO2 accumulata in milioni di anni.
Le nostre auto si muoverebbero grazie al biogas di canapa, e gli scarti agricoli sarebbero la materia prima per le nostre industrie. Profumate piantagioni di canapa si estenderebbero alle porte delle città, fornendo anche un supporto agli insetti impollinatori.
Le nostre case sarebbero costruite con materiali riciclabili, riducendo il problema delle discariche, e la qualità dell’aria migliorerebbe, con un impatto positivo sulla salute delle persone.
Purtroppo, non è andata così, e forse quell’utopia non è più raggiungibile. Tuttavia, rilanciare la filiera della canapa darebbe una boccata d’ossigeno alla nostra economia stagnante e accelererebbe il processo di transizione dai combustibili fossili.
Ad oggi, come vede il futuro della canapa in Italia, con il governo Meloni che con il DDL Sicurezza vorrebbe addirittura radere al suolo l’intero settore?
Questo succede quando la propaganda prende il posto della razionalità. Il settore della canapa industriale è uno dei pochi che, nei miei anni in Parlamento, non ha mai chiesto sovvenzioni o aiuti, ma solo regole chiare per lavorare. Il continuo boicottaggio nei suoi confronti è autolesionista.
Siamo in un contesto europeo e quello che in Italia viene vietato ai nostri agricoltori sarà consentito ai loro colleghi oltre confine. Continueranno ad arrivare infiorescenze di canapa, oli, CBD, ma solo i nostri agricoltori non potranno produrli.
È davvero assurdo, se si pensa che parliamo di canapa industriale con THC inferiore allo 0,6%, quindi priva di effetti psicoattivi. È un po’ come combattere l’alcolismo vietando la birra analcolica.
Per fortuna, il contesto mondiale va nella direzione opposta: sempre più paesi scelgono di far emergere il mercato illegale della cannabis, togliendo il monopolio alle mafie. I risultati sono chiari. Legalizzare tutela la salute dei consumatori, riduce il crimine e porta ingenti entrate allo Stato. Presto o tardi, anche l’Italia ci arriverà.
Infine, tornando al suo libro, ho letto che devolverà parte dei proventi ad un’Associazione di pazienti. Può dirci di più?
Lo scopo per cui ho scritto questo libro è dare il mio contributo alla battaglia collettiva che, presto o tardi, porterà alla rinascita della canapa. Per questo, ho deciso di destinare una parte dei diritti d’autore ad associazioni di pazienti che ogni giorno si impegnano per informare, aiutare e sostenere chi ha bisogno di cure a base di cannabis e per questo ad essere discriminato, trattato come un malato di serie B.
Le associazioni a cui ho scelto di devolvere parte dei proventi sono l’Associazione Pazienti Cannabis Medica e il Canapa Caffè di Roma.