Campi di lavoro all’estero: un modo per viaggiare ovunque nel mondo
I campi di lavoro, specialmente quelli all'estero, sono un'esperienza e un'occasione uniche per viaggiare e incontrare persone da tutto il mondo oltreché di stare a contatto con la natura come dimostra questo racconto della raccolta dei kiwi in Nuova Zelanda
Nell’ultimo decennio, un’infinità di persone di età compresa tra i 18 e i 35 anni, hanno preso un biglietto di sola andata per paesi come Australia e Nuova Zelanda. Sarà la voglia di mettersi in discussione, di non aver paura a ricominciare punto a capo, fatto sta che questi Paesi ti danno la possibilità, tramite un visto working holiday della durata di un anno, di fare esperienza, sia lavorativa che di viaggio, nonché di vita.
Molte persone, tra cui noi, hanno scoperto soprattutto la bellezza che sta dietro al lavoro nei campi, la libertà di poter lavorare all’aperto, di poter ascoltare la musica mentre ti prendi cura di una pianta o mentre raccogli un ortaggio oppure semplicemente la possibilità di condividere il tuo tempo e il tuo spazio da solo ma anche con tantissime altre persone provenienti da tutto il mondo in un contesto multiculturale che è fonte di arricchimento.
Quando arrivammo in un settembre di qualche anno fa in Nuova Zelanda, l’unica cosa certa era che la macchina comprata ad Auckland ci avrebbe permesso di girare per l’isola del nord alla ricerca di un impiego. Bazzicando poi come sempre sui vari gruppi Facebook alla ricerca di un’offerta di lavoro, ci imbattemmo in un commento da parte di un ragazzo indiano che cercava persone per iniziare la stagione estiva nei campi di kiwi (estiva, avete letto bene: nell’emisfero australe le stagioni viaggiano al contrario rispetto all’Europa).
In passato avevamo sentito parlare di questa attività in termini non proprio entusiasmanti: paghe minime e lavoro pesante. Ecco perché la nostra prima scelta non era esattamente quella di finire a lavorare in una farm di kiwi, ma il destino scelse per noi, portandoci a Te Puke, un paese di 8300 anime conosciuto come la capitale mondiale dei kiwi. Divertente, no?
PROBLEMA N. 1: ALLOGGIO
Il giorno successivo avevamo già fissato un colloquio con questo ragazzo, ma prima avevamo bisogno di trovare una base dove fermarci per qualche settimana così da capire se il lavoro faceva per noi. Finimmo, per caso, in un caravan park, quei campeggi tipici dei paesi anglosassoni ma anche americani, contraddistinti da tantissime roulotte abitabili e tante casette a schiera, con una cucina e il bagno in condivisione.
I caravan park vengono spesso frequentati da persone in pensione, dai local, dai backpacker e insieme agli ostelli, sono quei posti che diventano delle vere e proprie case temporanee, dove ti soffermi, dormi, mangi, vivi. Condividi talmente tanto del tuo tempo con persone che come te decidono di intraprendere quello stile di vita, che ti ritrovi ad entrare in simbiosi con loro, creando rapporti unici e indimenticabili.
I padroni dei caravan park spesso sono dei personaggi simpatici, particolari e un po’ strambi: nel nostro caso ci diedero una roulotte per 100 dollari a settimana elencandoci tutte le regole per vivere all’interno di quel contesto. Dopo aver concordato tutto, mancava solo il lavoro.
PROBLEMA N. 2: LAVORO
Quel giorno ce lo ricordiamo bene. Pioveva tantissimo ed eravamo in anticipo di 5 minuti come sempre. Stavamo aspettando il momento giusto per entrare. L’unica cosa che ci convinceva poco era che il gate per entrare nella farm era chiuso e il ragazzo non rispondeva ai nostri messaggi. Dopo circa un’ora di attesa, lo chiamammo per capire se l’offerta fosse ancora valida e ci comunicò che non sarebbe venuto per via della pioggia e che il colloquio era saltato.
Insomma, non proprio un bell’inizio, ma la speranza è l’ultima a morire e noi difficilmente ci lasciamo abbattere. Sapete quando vi dicono che la vita è piena di sorprese? Ecco, neanche 5 minuti dopo, trovammo un altro annuncio su Facebook, stavolta di un’azienda brasiliana, che reclutava dipendenti per iniziare la stagione estiva. Questa volta non perdemmo tempo in messaggi e chiamate, ma andammo lì direttamente per chiedere.
L’intraprendenza premia sempre e dopo circa una decina di minuti di chiacchierata Ian, il signore dall’accento British alle risorse umane, ci aveva già consegnato il contratto da firmare per poter iniziare il giorno seguente. Qui, come in Australia, il contratto ti viene fatto in giornata: bastano le proprie generalità, un documento d’identità valido, un conto aperto in banca e un “codice fiscale” che garantisca la tua regolarità nel paese.
Molte aziende dall’altra parte del mondo offrono oltre allo stipendio incentivi come vitto e alloggio e così fu anche in questo caso, ma a noi non serviva. Nonostante i racconti sulla fatica, accettammo i 900 dollari neozelandesi a settimana, 500 euro circa e ci preparammo per l’indomani: avevamo voglia di imparare un mestiere nuovo.
PROBLEMA N. 3: PROCURARSI IL NECESSARIO
Pronti per questa nuova avventura, andammo a procurarci in un second hand shop dei vestiti da lavoro. I second hand non sono altro che negozi di vestiti di seconda mano molto gettonati da parte dei backpacker e delle persone del posto perché si trovano oggettistica e vestiario di tutti i tipi gratis o comunque a un prezzo pressoché ridicolo. Con dieci dollari neanche avevamo vestiti e scarpe necessarie per il lavoro in farm. Pensiamo sia uno degli aspetti più interessanti di questo stile di vita e ti accorgi di come davvero con pochi soldi, con tanta inventiva e con un buon passaparola tu riesca a organizzarti a 360 gradi.
PRONTI, VIA!
Alle 8 meno un quarto eravamo sul posto con ragazzi e ragazze di tutte le età e provenienti da tutte le parti del mondo a condividere lo stesso spazio. Sentivamo parlare in inglese, spagnolo, tedesco, francese. C’erano maori, giapponesi e indiani, non mancava proprio nessuno.
Ogni team era composto da circa 15 persone con un team leader con il compito di istruire il gruppo affinché potesse svolgere il lavoro autonomamente senza troppi problemi. Grazie a loro e grazie ai tre mesi concessi dal nostro visto per lavorare per quell’azienda, capimmo di quanti bisogni avesse la pianta del kiwi per sopravvivere.
Si passa dalla potatura, alla selezione dei germogli, alla scrematura, alla rimozione di quelle erbacce che potevano danneggiare seriamente la pianta. Assistemmo all’impollinazione e comprendemmo quanta dedizione c’è dietro al lavoro da parte delle api. Ci beccammo anche un sacco di punture proprio perché il nostro lavoro consisteva nel gestire la pianta in tutti i momenti della sua crescita. Abbiamo imparato a potarla cosicché potesse far crescere meglio i frutti e abbiamo selezionato quelli più buoni e consoni alla vendita.
9 ore intense scandite da una serie di pause di 15/30 minuti in cui recuperavamo le nostre forze mangiando un panino, sorseggiando un caffè, condividendo il mate argentino e scambiando due chiacchiere con i nostri colleghi. Ci siamo sentiti capiti, inclusi e travolti dall’entusiasmo. Non sono mai mancati i racconti sulle esperienze di vita da parte di persone differenti da noi e ognuna di loro ci ha lasciato in qualche modo qualcosa, come speriamo di aver fatto anche noi.
Il lavoro stagionale è un’esperienza sottovalutata che a primo acchito sembra contornata da aspetti negativi per via dello sforzo fisico, della mole di ore di lavoro sotto il sole o sotto la pioggia. Lasciateci dire, però, che è più di tutto ciò. Per questo il nostro consiglio è di non fermarvi all’apparenza e di buttarvi. Che sia una settimana, un mese o tre mesi, il rapporto che creerete con la natura e con gli altri andrà a incrementare un qualcosa di più profondo: vi mostrerà che il lavoro agricolo non solo fa bene alla mente perché ti libera da tutti i pensieri, ma è una palestra continua che ti forma fisicamente. Una vera e propria meditazione rigenerante.
Testo e foto di Nutshell Travel