Contro-informazione

Calabria: quando la legge da rispettare mette tutti in imbarazzo

2015-02-24 01.57.50 pmQuando il 23 luglio la Squadra Mobile catturava, in un appartamento a Vibo Valentia, il ventottenne Francesco Fortuna, la notizia, nei primi minuti, è passata quasi inosservata. Fortuna è ritenuto l’elemento più carismatico ed emergente del clan Bonavota di Vibo Valentia. Era latitante dallo scorso ottobre perchè il G.I.P del Tribunale di Catanzaro aveva ordinato, accogliendo le richieste della DDA, il suo arresto nell’ambito dell’operazione “Uova del drago”.

In quell’appartamento gli agenti trovano una vera e propria “Santa Barbara”: un kalashnikov, un revolver 2015-02-24 01.58.02 pmcalibro 357, una carabina Winchester, un fucile calibro12 semiautomatico, un fucile a pompa a canna corta, un migliaio di munizioni e un lampeggiante di quelli usati dalle scorte oltre 2 milioni di euro in contanti. Mentre potevano apprendersi le generalità dei proprietari dell’appartamento, parenti del latitante, che si trovavano da tutt’altra parte, rimaneva “invece, il 2015-02-24 01.58.12 pmriserbo assoluto sull’identità di un’altra persona, – scrive l’ANSA – l’unica presente con il latitante al momento dell’irruzione della polizia: gli investigatori hanno preferito non dare ulteriori informazioni.”

Chi meritava mai questo tipo di trattamento? Si trattava della dottoressa in mediazione culturale Francesca Bruni, 31 anni. Denunciata per favoreggiamento. Ma chi è Francesca Bruni? E’ la figlia di Ottavio Gaetano Bruni. Due volte presidente della Provincia di Vibo Valentia nel corso dell’ultimo 2015-02-24 01.58.33 pmmandato, durante il quale la Provincia è finita in fondo alle classifiche nazionali per vivibilità, si rese protagonista di un formidabile balletto prima delle sue, annunciate, dimissioni: lascio, non lascio, lascio, ci ripenso. Diventa coordinatore del Partito Democratico per la provincia di Vibo Valentia.

Agazio Loiero lo aveva da poco chiamato, nominandolo Sottosegretario, ad assumere le funzioni di responsabile dell’unità organizzativa della Presidenza della Giunta calabrese. Si è dovuto dimettere dichiarandosi “addolorato” ed al tempo stesso “ignaro” della relazione tra Fortuna e sua figlia. Ma entrambi si conoscevano fin da ragazzini: gestire la cosa pubblica, “mai sfiorato da un avviso di garanzia in un territorio difficile come il mio” – ha scritto nella sua lettera di dimissioni – e non sapere cosa succede in casa propria. Vorrei che il racconto si chiudesse così. Con la narrazione di una vicenda che potrebbe rimanere confinata nella vita familiare di una persona qualunque.

Vorrei vedere, nella storia di due fidanzati, appena narrata il livello massimo di imbarazzo politico per la Calabria. Invece non è così. E la vicenda “Bruni” non è la famigerata punta. Nemmeno una goccia di condensa dell’iceberg rappresentato dalle implicazioni della politica regionale con la giustizia. Le pagine dei giornali sono piene, dall’inizio di questa legislatura datata 2005, dei casi di Consiglieri Regionali indagati. Tanti, talmente tanti da costituire il vero partito di maggioranza. Altro che destra e sinistra. Cominciamo avvisando il lettore che il quadro che segue non sarà esauriente, ma basta a far venire i conati di vomito.

Il 10 giugno del 2008 il Tribunale di Crotone infligge 4 anni di carcere a Dionisio Gallo, Consigliere Regionale dell’Udc, già arrestato quando era Assessore alla Forestazione nella Giunta Chiaravalloti e, cosa ancora più grave, già vice-Presidente, nella corrente legislatura, della commissione regionale antimafia, per voto di scambio politico-mafioso. Nello stesso processo, denominato “Puma”, sarà condannato anche l’ex Presidente (le sue dimissioni, dopo la rituale “auto-sospensione”, sono di qualche giorno fa) degli Industriali di Crotone, Raffaele Vrenna.

Modifiche risalenti al 2004 della legge 55 del 1990 dispongono la “temporanea sospensione” dei Consiglieri Regionali colpiti da una condanna, anche non definitiva, per la durata di 18 mesi dalla pronuncia della sentenza. Un bene? Non proprio. Perché Il 2 febbraio del 2007 il Tribunale di Crotone, sempre lui, emette una sentenza di condanna a carico di Vincenzo Sculco. Sette anni e mesi 8 di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici, interdizione legale per la durata della pena, incapacità a contrattare con la Pubblica Amministrazione per tre anni a seguito di una “modesta” serie di reati commessi tra il 2001 ed il 2005: frode in pubbliche forniture, truffa, tentata truffa, falso ideologico, concussione, abuso d’ufficio, rivelazione del segreto d’ufficio, corruzione, turbata libertà degli incanti.

Vincenzo Sculco era il capogruppo della Margherita nel consiglio regionale calabrese. Scatta anche per lui, marzo del 2007, la sospensione dall’incarico. Ma, dicevamo prima, la legge prevede una sospensione “temporanea”. E infatti a 18 mesi dalla condanna, nel più rigoroso rispetto delle norme, il magnifico Enzo, definito da alcuni il papa di Crotone, torna in aula il 7 agosto reclamando la forza del “mandato conferitomi da tanti calabresi”. Non ha avuto lo stesso buon gusto di Ottavio Bruni e non si è dimesso.

La legge stabilisce che in caso di rigetto del ricorso in appello la sospensione viene irrogata per altri 12 mesi, ma – e questo è uno scandalo ulteriore – dopo un anno e mezzo dalla conclusione del processo di primo grado, l’appello non ha avuto nemmeno un’udienza.

Lo stesso giorno del rientro di Sculco il Presidente del Consiglio, Giuseppe Bova, ha proclamato l’uscita – ripetiamo “temporanea” – di Dionisio Gallo. Che farà rientro nell’Astronave (paradossale soprannome della struttura che ospita il Consiglio a Reggio Calabria) nel gennaio del 2010. Salvo fine anticipata della legislatura. Spesso proclamata, specie dalla opposizione fantasma di centro-destra. Invocata, richiesta, annunciata, mai concretamente configurabile.

Ci provò l’Udc, raccogliendo le firme per una mozione di sfiducia, il gruppo all’epoca era di 8 consiglieri, ne servivano 11, ma non arrivarono le firme né di AN né di Forza Italia. Le cronache nazionali continuano ancora a ricordare l’assassinio di Franco Fortugno. Il delitto politico-mafioso che ha “battezzato” una legislatura iniziata sotto il peggiore dei segni. Il 16 ottobre del 2005 il medico, primario del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Locri, dove viveva con la sua famiglia, viene freddato all’uscita del seggio delle Primarie de L’Unione. Era all’epoca VicePresidente del Consiglio Regionale. In Corte d’Assise si sta celebrando il processo a carico dei presunti mandanti ed esecutori materiali del delitto. Alla sbarra non c’è Mimmo Crea.

Era il primo dei non eletti nella lista del partito di Rutelli. Subito dietro il compianto Fortugno. Che con la sua morte lascia il posto libero in Consiglio. Ed i malumori, per la notorietà delle sue “ambigue” amicizie non sono pochi. Lascia il centro-sinistra aderendo alla DC per le autonomie di Rotondi. Mimmo Crea è talmente chiacchierato per vicende legate alla sanità, quella stessa sanità in cui Fortugno, ficcava il naso denunciando alcune zone d’ombra che avvolgevano l’intero comparto, che il 18 gennaio del 2008 scatta l’operazione “Onorata Sanità” che porterà al suo arresto – è ancora detenuto – con l’accusa di associazione mafiosa finalizzata a condizionare il dipartimento della Salute della Regione Calabria per garantire la sopravvivenza della sua clinica privata. Villa Anya a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria. Ci sono i politici che finiscono dentro e ci rimangono.

E’ il caso appena citato di Crea che al fine di ottenere la scarcerazione ha fatto pervenire le sue dimissioni affinché i legali facessero venire meno le esigenze cautelari. Quelli che invece vengono arrestati e prosciolti perché completamente estranei ai fatti. Nella notte di ferragosto del 2006, mentre si trovava in vacanza in Sardegna, la Guardia di Finanza accalappia come il più pericoloso dei terroristi l’allora capo-gruppo DS Franco Pacenza con l’accusa di avere pilotato la destinazione di alcuni fondi europei ad aziende fantasma in cambio di “opzioni” sulle assunzioni da effettuare. Sette giorni in carcere prima di ottenere gli arresti domiciliari ed essere prosciolto. Innocente. Ma dal punto di vista penale, non dal punto di vista etico. “Si è macchiato di pressanti raccomandazioni”. Solo quello.

Quelli arrestati e scarcerati per un quadro probatorio altamente carente. E’ il caso di Pasquale Maria Tripodi che viene arrestato il 13 febbraio 2008 su ordine del Tribunale di Perugia e scarcerato l’8 marzo. Viene individuato come lo “strumento” politico di un gruppo affaristico che operava in Umbria e Calabria nel settore dell’energia. Ma nelle 392 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare il nome di Tripodi è solo citato in alcune conversazioni telefoniche. Niente che dimostri un contatto dell’ex assessore regionale ai Trasporti, al Personale e da ultimo al Turismo, con i principali indagati. Loiero lo scarica dicendo che la revoca delle deleghe a lui conferite era stata decisa “il giorno prima” del suo arresto.

Tripodi non si perde d’animo e passa nell’Udc. Come non si perde d’animo quando arrestarono nel 2005 Fortunato La Face. Era spesso in macchina con Tripodi, in molti lo davano come suo autista. Lo fermarono i Carabinieri con una 7,65 con matricola abrasa, silenziatore e munizioni. Sotto il sedile della sua BMW nascondeva una calzamaglia nera. A casa gli hanno trovato un fucile a canne mozze col numero di matricola cancellato, un revolver cal.16 ed una bomba a mano perfettamente efficiente. Tripodi ex Udeur, dopo l’arresto (“Mastella mi ha scaricato”) passa nell’Udc e costituisce, lo scorso 10 luglio, il gruppo “Calabria Popolare Democratica”. Quelli per i quali la procura chiede l’arresto e l’ufficio GIP nega.

Capita all’indomani del rientro in Consiglio proprio di Tripodi. Ed al suo ex compagno di partito Franco La Rupa. Già sindaco di Amantea, in provincia di Cosenza, è ritenuto espressione dell’influenza politica della Cosca Gentile che opera nel tirreno Cosentino. Per due volte la procura di Catanzaro aveva chiesto la detenzione. Era infatti già indagato nell’inchiesta che qualche giorno prima del Natale 2007 portò all’operazione “Nepetia”. In quell’occasione, però, non subì la custodia cautelare: a suo favore la Corte di Cassazione si era già pronunciata per la non carcerazione nell’ambio di un altro procedimento. Così il 19 marzo finisce ai domiciliari. Per due settimane scarse.

Il Consiglio dei Ministri, l’1 agosto, ha sciolto il consiglio Comunale di Amantea per infiltrazioni mafiose proprio a causa dei risvolti di quella stessa inchiesta. Ma La Rupa continuerà a legiferare in Calabria. Il neo segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, aveva vietato ai deputati regionali calabresi di fare ingresso nella Giunta Loiero. Voleva salvare la faccia. Dopo un tira e molla patetico Rifondazione, in Calabria, aderisce alla proposta del governatore. Di “tesseramenti fantasma” parlò un recente articolo del “Manifesto” che scatenò furiose polemiche. Da Cosenza a Reggio Calabria. Tutto falso. In questa regione anche le leggi newtoniane possono essere “interpretate”.

 



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