Brokenspeakers – Fino al collo (recensione)
Al giorno d’oggi nell’hip hop italiano, microcosmo parzialmente indicativo della nostra società, i (non pochi, invero) ritorni al classico e al reale sono puro ossigeno che controbilanciano le derive stilistiche e musicali che ne hanno macchiato lo spirito originario. I Brokenspeakers da Roma lo sanno bene, hanno provato sulla propria pelle l’essenziale distinguo tra apparenza e sostanza e da anni si sono mossi sui palchi di tutta Italia portando avanti un credo mai depravato da compromessi e marchette. Diciamolo, si sono fatti da soli. E si sente. “Scrivo quello che vivo e cerco di stare in piedi. Vuoi il pezzo positivo? Basta che lo chiedi ad un altro, a me no”.
Loro sono Coez, Lucci, Nicco, Hube, Franz (mc’s) e Ford78 (produttore), con Ceffo nella formazione live: oltre all’ensemble che è venuta fuori dall’unione tra Circolo Vizioso e Unabomber, buona parte di loro ha portato avanti la carriera solista, sia strettamente nel rap che in ambiti differenti. “Fino al collo” rappresenta il passaggio del testimone tra queste due esperienze, venendo fuori come ultimo lavoro collettivo della crew e rampa di lancio per il futuro in solitaria. Un futuro che farà frutto della credibilità e della esperienza maturata negli anni: On the Road, video documentari sulle trasferte del gruppo, non solo ne mostra lo spirito, ma ci fa capire come Brokenspeakers abbia girato la penisola intera e non sia un fenomeno circoscritto alla capitale. Certo, Roma pulsa e vive nelle liriche, nello stile e nell’indole: ma tutto ciò li ha temprati e resi pronti al test separato.
“Il motto” rappresenta il testamento e riassume le peculiarità dei Brokenspeakers: rap real, underground, sarcastico, romano. Un giorno va bene, un giorno va male, ma le palle per ghignare in faccia ai momenti bui non mancano, anzi. “Fino al collo” è completamente permeato da questa sensazione: il livello medio del rap si è innalzato a buoni livelli di consapevolezza, così come il suono che proviene dalle macchine di Ford78 (e di 3D, presente con un ottimo beat). È Coez a sverginare buona parte dei brani e a performare quasi tutti i ritornelli: appare più che pronto per spiegare le sue ali. È l’ultimo disco, e ciò ha due conseguenze decisive: ha creato un buon hype, discretamente mantenuto; ha messo un po’ di pressione sui cinque che, seppur in episodi sporadici, non convincono completamente. Così come la scelta di relegare Primo Brown e Kaosone ai ritornelli (nelle altre compartecipazioni, bene i Colle, un po’ meno CaneSecco e Gemitaiz). Ad ogni modo “Fino al collo” è un buon disco: niente di artefatto o forzatamente innovativo, ma un lavoro compatto e credibile, la giusta ricetta per un commiato doveroso verso i fan. Si può dire che lascino così come avevano iniziato e questo atto di coerenza è il gesto migliore per salutare.
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