Brasile, cronache da un paese in guerra civile
Mi hanno portato a vedere un appartamento. “Questo è il meglio che Salvador de Bahia possa avere per una persona come lei“, mi ha giurato mille volte il tipo dell’agenzia immobiliari cui mi ero rivolto per un possibile affitto.
Attraverso la città, costeggiandone lo straordinario litorale, con questo giovanotto che mi promette meraviglie. Dopo 40 minuti mi ritrovo dinanzi a due torri scintillanti in un piccolo parco recintato. All’ingresso un paio di energumeni armati ci bloccano. “Non si preoccupi, sono alcuni dei guardiani. Sono loro a proteggere la sua tranquillità e quella della sua famiglia”.
A Salvador funziona così. Un esercito di portieri in armi a proteggere i condomini della minoranza che può permettersi di pagarne i servizi. I due palazzi sono nuovi di zecca. Gli appartamenti molto belli. Ma la straordinarietà, folle, di questa costruzione è data dai servizi che offre. Ci sono due piscine, un campo giochi per i ragazzini, una palestra, una sala feste, una biblioteca e persino un cinema. Tutto ad uso esclusivo dei condomini.
Il giovanotto pensandomi stupito, insiste e mi spiega che qui funziona così. I condomini assicurano tutti i servizi. Da casa si esce solo per andare a scuola o al lavoro. Anche la spesa, se uno vuole, la si può fare per telefono. Tutto il resto, soprattutto tutta la socialità, si vive all’interno del condominio.
“Bello, no? Qui si è al sicuro. Qui ci vive tutta gente scelta. Solo gente che ha i soldi. Il meglio della nostra città”.
La vita ridotta a un condominio. Fuori, l’inferno. L’inferno della miseria e dei suoi ratti umani, soprattutto neri. “Brutta gente, banditi e trafficanti di droga. Per strada ti assaltano. Puoi essere ucciso per rubarti il telefonino o 20 euro. Qui, lei e la sua famiglia siete al sicuro”.
Dal balcone dell’appartamento mi guardo intorno. Altre torri scintillanti, circondate da casupole basse e annerite, le favelas. La tana immensa dei ratti umani. Il covo di lupi famelici che ogni santa mattina si svegliano nella loro miseria e scrutano con invidia e odio il paradiso irraggiungibile dei ricchi.
Il Brasile, il paese più liberista del mondo, ha costruito un modello sociale e politico, persino architettonico, fondato sull’odio.
Un grande muro invisibile separa per sempre ricchi e poveri. E’ praticamente impossibile per un povero sperare di uscire dalla spirale della miseria. Come potrebbe farlo? Lavorando? E che ci fai con 200 euro di salario? Studiando? E dove li trovi i soldi per studiare in una scuola privata visto che quelle pubbliche se ne cadono a pezzi e sono quasi sempre chiuse per gli scioperi degli insegnanti sottopagati?
Se i poveri danno fastidio, se protestano, ci pensano le varie polizie, soprattutto quella militare, a farli tacere nel sangue. Non c’è incursione della polizia nelle favelas che non registri un bilancio sanguinoso. Che importa di poveri, neri? Niente. A commento di una delle ultime stragi, 12 morti, il governatore usò termini calcistici. I suoi scherani avevano segnato 12 goal.
Odio, odio puro… Violenza, la più orribile.
La scusa dei massacri è il narcotraffico. Il narcotraffico qui è un affare miliardario e secondo le elites di questo paese si annida nelle favelas.
La verità è che tra le baracche ci sono giusto le bande degli spacciatori, quelli di più’ basso livello.
Chi tiene i fili di questo business non vive nelle favelas. Forse è il mio vicino di casa se decidessi di affittare l’appartamento che mi viene proposto. Se decidessi di vivere in questa assurda prigione.