Il bluff del garante dei detenuti
Il carcere è un girone dantesco in cui non viene rispettato il principio costituzionale che prevede la riabilitazione dell’individuo, nonostante la figura del garante dei detenuti viene celebrata dai media mainstream
Da un po’ di tempo sulle tv nazionali va in onda uno spot che celebra l’operato del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, una specie di supereroe moderno che si occupa di garantire la piena attuazione dei diritti e degli interessi delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale.
Se avessi visto solo lo spot e non fossi transitato tra i gironi danteschi che già vent’anni fa erano le nostre carceri allora penserei di vivere in un Paese con la civiltà avanzata. Ma basterebbe leggere le statistiche dei suicidi all’interno dei penitenziari italiani (sia tra i detenuti ma anche tra gli agenti di custodia) per capire che si tratta, nel caso dello spot, di mera propaganda. Dei detenuti e degli internati non frega niente a nessuno, a meno che non si sia coinvolti personalmente attraverso la disavventura di un familiare o di un congiunto. Ho visitato anche qualche persona in strutture psichiatriche, alcune delle quali collegate al circuito degli istituti di pena e la situazione non cambia.
Non si è mai affrontato il tema con un approccio strutturale ma sono stati fatti interventi “tampone” limitati laddove la situazione non era più gestibile, anche attraverso strumenti come l’indulto, ma mai e poi mai si è voluto affrontare l’argomento, certamente non prioritario nell’agenda politica.
Ho visto detenuti volenterosi di riscatto iscriversi all’Università e chiedere quotidianamente, per una settimana (quando andava bene) di seguito, gli strumenti più basilari come matite e quaderni; spesso senza ottenerli.
Le uniche cose generosamente distribuite in ogni struttura “detentiva”, siano esse carceri, istituti psichiatrici o centri di prima accoglienza, sono gli psicofarmaci, unico modo in cui personale di custodia costantemente sotto organico, riesce a sopravvivere in condizioni disumane.
Ai detenuti in carcere l’unico modo con cui è permesso comunicare rimane la posta ordinaria, questo significa essere sprofondati in un medioevo comunicativo, e l’unico modo per contattare il famoso “Garante” è per interposta persona scrivendo a qualche familiare o a qualche amico. Lascio a voi trarre l’efficacia di una catena del genere.
Finire in carcere oggi equivale ad essere scaraventati in un girone dantesco che è l’esatto contrario di come dovrebbe essere rispettato il principio costituzionale che prevede la riabilitazione dell’individuo, e con l’aumento della miseria, del disagio sociale e dell’emarginazione sempre più ampia dei soggetti e delle fasce di popolazione sotto la soglia di povertà non credo che le cose possano migliorare, a meno che non si inizi ad affrontare il problema alla radice, cioè dalle cause, anziché reprimerne sempre più goffamente gli effetti.