Blu & Exile – Give Me Flowers While I Can Smell Them (recensione)
Ho atteso un nuovo lavoro di Blu & Exile per un mucchio di tempo. Questo perché “Below The Heavens” era un disco bellissimo, con delle atmosfere di incredibile trasporto, un connubio perfetto tra la voce calda e rilassata di Blu e i beat soavi di Exile. Un piccolo capolavoro underground, un disco di quelli che ti fanno capire quanto vasto sia il potenziale dell’hip hop, sotto moltissimi punti di vista.
“Give Me Flowers While I Can Smell Them” è stato un inaspettato regalo di natale, arrivato come un tuono nel mio stereo, mettendo subito in coda album come i nuovi di Common e dei Roots. Una copertina spenta, con dei fiori non molto in forma sullo sfondo di una parete fredda come presentazione, per un disco che in realtà è come lo volevo: caldo e acceso. La fusione tra le skills dei due protagonisti genera viaggi bellissimi verso posti caldi, scorre dall’inizio alla fine in scioltezza regalandoci splendidi attimi di relax, ma anche qualche pezzo più anonimo. Se “More Out Of Life” (che cita i Mobb Deep, in un contesto sonoro diametralmente opposto) e “The Only One” rappresentano una partenza col botto, in realtà il lavoro vive di alti e bassi.
Blu è sempre il solito, si conferma il liricista più promettente di tutta la scena americana, sfornando rime bellissime e profonde, su beat ricamati appositamente per valorizzarne il flow.
Exile, invece, trova al solito campioni estremamente ricercati, creando le basi per un rap d’altri tempi, lontano dal chiasso e dall’inquinamento sonoro a cui spesso siamo abituati, anche se con qualche picco verso il basso in alcune tracce (quel sample di Alton Ellis, ad esempio, l’ha sfruttato meglio Don Joe a mio avviso) e la stessa “John McCain” mi è sembrato un esperimento un po’ azzardato.
Nel complesso “Give Me Flowers While I Can Smell Them” è un disco bello e avvolgente, sebbene non rappresenti l’espressione massima del talento dei due; non è sicuramente la musica giusta da ascoltare durante le vostre sedute in palestra, questo è ovvio, ma è perfetto per chi cerca un hip hop sobrio, pulito e che si faccia comprendere al 100%. Il tutto per merito del flow e delle liriche di un ragazzo di Los Angeles che dopo essere stato un “Rookie Of The Year” adesso è un solido sophomore e di un beat maker eclettico e talentuoso.
Una piacevolissima conferma underground, ma c’era da aspettarselo.
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Robert Pagano